lunedì 28 luglio 2008

Le ragioni dei credenti
















Questa volta tocco un argomento molto delicato ma di cui nessuno ne vuole parlare ,tranne quando si vogliono alzare delle barricate e quindi non risolvere il problema.
Parlando di me premetto che non sono un cattolico praticante,molto poco credente( rifiuto il termine "Fede in Dio") e in ogni caso la politica non deve avere nulla a che fare con la religione.
Ma qui non si parlerà delle ragioni dei credenti o dei religiosi, ma delle ragioni dei cattolici che fanno politica.
Per parlare di questo farò riferimento ad uno dei filosofi contemporanei a me più cari e più stimati del nostro secolo (anche del precedente visto che ha 80 anni!) J.Habermas.
Egli afferma che è un dovere ,da parte della politica laica ascoltare le ragioni dei cattolici traducendone i contenuti in termini laici ovviamente.Tradurre in termini laici le ‘intuizioni’ e le ‘ragioni’ che il cittadino religioso sa esprimere solo in termini comprensivi della sua esperienza di fede.
Il problema si ripresenta infatti sotto l'aspetto del linguaggio.Il cittadino senza fede religiosa è tenuto a riconoscere un ‘potenziale di verità alle immagini religiose del mondo’”.
Non nego che un problema ci sia e che la fede, ogni tipo di fede, non solo in Dio, ma anche nell’onnipotenza conoscitiva dei numeri e delle scienze naturali, ponga dei problemi.
La fede nella ricerca scientifica senza limiti e illimitatamente applicabile configura un pensiero e una prassi sottratti al giudizio razionale, giudicante cioè non solo l’adeguatezza dei mezzi ma anche l’accettabilità dei fini.Esistono vari tipi di fedi e di dogmatismi.
Gli stessi cittadini laici, in altri termini, dovrebbero aver interesse a confrontare forma e contenuto delle proprie convinzioni con il “potenziale di verità” racchiuso nel linguaggio religioso: anche se questo linguaggio non è immediatamente e facilmente traducibile nel linguaggio della razionalità atea e in quello delle costituzioni liberal-democratiche o delle social-democrazie avanzate.
Ovviamente il problema si presenta in Italia,la cultura e la politica cattolica ha dominato per 50 anni con risultati molto ambigui. Non tenere conto di questi 50 ,però, sarebbe un grave errore e provocherebbe ulteriori divisioni in un paese che di barriere e barricate ne è un po' stanco.

Lorenzo

domenica 27 luglio 2008

Democrazia e società complesse

















Habermas ha sempre sostenuto la tesi della democrazia deliberativa ,cioè di quelle democrazie le cui leggi sono si fatte dal centro ma deliberate dal popolo(sotto forma di camere parlamentari).
L'alternativa è ,secondo me,una democrazia non centralizzata(molto di moda oggi in Italia con la nascita del leghismo).
Come dice N. Luhmann,il governo non deve nascere dal centro ma da vari centri,io aggiungo popolari e non, tra cui le leggi del mercato.
E' ovvio, che una democrazia "decentrata",perde quel carattere di univocità sui territori governati,lascia a volte ai singoli l'emanare leggi magari ad hoc.
Habermas nel difendere la sua tesi(da me pienamente condivisa)propone una grande sintesi sul diritto che lascia trasparire una fiducia (tipicamente illuministica) nello strumento giuridico come strumento di mediazione, fiducia della quale oggi si avvertono segnali di crisi.
Come avverte lo stesso Habermas nella prefazione, Fatti e norme vuol essere una risposta allo scetticismo dei giuristi: l’autore avverte già un certo disfattismo nei cultori del diritto relativamente alla mediazione e alla soluzione dei problemi di diritto.
Egli parla poi del “falso realismo” di chi guarda scetticamente al momento normativo, scorgendo in esso una copertura ideologica: contro questa posizione, Habermas è convinto che si debbano prendere sul serio i discorsi normativi. Dal libro traspare una lampante difesa della “democrazia deliberativa” all’interno di una società sempre più complessa, in aperto contrasto con le tesi sostenute dal teorico dei sistemi Niklas Luhmann, il quale è dell’idea che un sistema complesso non si lasci governare dal centro, cosicché salta la politica tradizionale incentrata sullo Stato sovrano. Come scrive Luhmann, “non è possibile governare una società complessa dal centro senza distruggerla”.
Il guaio – nota Habermas – è che se si presta ascolto a Luhmann si rischia di vedere come sola alternativa il mercato, ossia il sistema complesso che si autogoverna. Habermas scrive con l’esplicita intenzione di salvare quanto di positivo egli ravvisa nell’esperienza della statualità moderna (lo Stato di diritto costituzionale), con un’espansione della democrazia e non con una sua rinuncia in favore dell’espansione del mercato: e ciò alla luce della convinzione habermasiana che nel concetto moderno di diritto noi ritroviamo l’idea democratica già sviluppata dai giusnaturalisti classici; detto altrimenti, in Habermas è radicata l’idea di un nesso forte tra diritto e democrazia, anche se gli autori classici (e l’autore pensa soprattutto a Rousseau e a Kant) hanno visto solo una parte del problema. A tal proposito, Luhmann e gli altri critici di Habermas dicono che egli è ancora troppo hegeliano nelle sue convinzioni, che incarnano la “vecchia Europa” della società civile statalizzata, una vecchia Europa che oggi non esiste più.

Nell’approccio comunicativo di Habermas si avverte benissimo una sorta di fluidificazione comunicativa della “volontà generale” di cui diceva Rousseau, tant’è che il concetto di “sovranità popolare” (ogni potere politico nasce dal potere comunicativo dei cittadini) resta centrale nel discorso habermasiano.


Forse Hegel non c'entra molto,sicuramente c'entra una visione della democrazia moderna e partecipativa di cui oggi non ne conosciamo ancora la reale portata.



giovedì 24 luglio 2008

Kant e il cittadino del mondo

Effettuando una lettura più attenta del saggio"Per una pace perpetua"di I.Kant si può evincere come già duecento anni fa il filosofo abbia conciliato un giudizio(non annacquato) di democrazia mondiale esportabile con la non-violenza.
Una analisi comparata con la situazione di oggi mi permette di dire che quello che lui chiamava"foedus pacificum" non sono altro che le Nazioni Unite di oggi. Cioè una idea di stato mondiale, federazione di stati o organizzazione mondiale basato su principi della libera adesione.
Un altro aspetto interessante di questo saggio è la visione del cittadino,io lo chiamerei CITTADINO DEL MONDO.
Egli già preannunciava la possibilità di ognuno di noi di poter visitare qualsiasi altro stato,con libertà di pensiero,oggi la chiameremmo "opinione pubblica mondiale"la quale non potrebbe certo sorgere in una situazione di isolazionismo culturale.

Il filosofo parla inoltre di diritto internazionale, di diritto cosmopolita,il tutto in senso regolativo.

Il senso di libertà per la circolazione degli uomini e delle idee è,in questo saggio,sempre presente.

A distanza di duecento anni i nostri politici stanno ancora discutendo,invece,di un nuovo ordine mondiale,capaci soltanto di coniare un nuovo termine: globalizzazione, del tutto fuori strada da quello che Kant invece chiamava:Federazione mondiale con libera e volontaria adesione.



sabato 12 luglio 2008

Noi e i giovani





Da parecchi anni i nostri ragazzi sono visti più come un problema da analizzare che non una parte della società attiva e pensante.
Le nuove generazioni oltre che essere una parte pensante dell'umanità sono anche il futuro di questa nostra società.
Erediteranno quello che noi abbiamo fatto ( di bello e di brutto) ma non avranno gli strumenti per continuare il nostro lavoro: questi strumenti li custodiamo noi gelosamente,perchè la scuola non insegna ad usare lo strumento pensiero.

Nello scorcio di tale prospettiva storiografica assumono un ruolo centrale i modi mediante i quali il punto di vista dei giovani sia finito per quasi essere sempre trascurato e/o trattato come elemento accessorio e marginale.
Si consideri, a titolo esemplificativo, come viene rappresentato il filosofo Herbert Marcuse ,quando rilascia la prima intervista a un settimanale d'Europa, l'italiano “Il Tempo”, pubblicata ivi nel n. 27 del 2 luglio 1968.
Riconosciuto, nonché definito, come “il filosofo della contestazione globale, il pensatore che ha suscitato l'entusiasmo dei giovani di tutti i Paesi”, la “conquista dei giovani” da parte del filosofo berlinese viene fatta passare attraverso il romantico atteggiamento del filosofo verso la vita, ossia “nel suo rimanere un adolescente oltre ogni traguardo anagrafico e nell'affermare il diritto di esserlo per ciascuno.

I mass-media,la cultura cosiddetta ufficiale, controllano gli strumenti e le idee dei giovani non permettendo loro una libera espressione ed un ruolo importante nella nostra società.
In Italia l'esempio è lampante, una società "vecchia",con vecchi schemi e vecchie idee(non ideologie, quelle sono sparite da tempo) eppure non si perde occasione per parlare del "problema dei giovani",arrivando puntualmente ad un nulla di fatto.


"L'uomo non fa mai uso della libertà che ha,come per esempio della libertà di pensiero; pretende invece come compenso la libertà di parola"
S. Kierkegaard

mercoledì 9 luglio 2008

Il mio Cielo stellato

"Due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente, quanto piú spesso e piú a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me.
Queste due cose io non ho bisogno di cercarle e semplicemente supporle come se fossero avvolte nell’oscurità, o fossero nel trascendente fuori del mio orizzonte; io le vedo davanti a me e le connetto immediatamente con la coscienza della mia esistenza. La prima comincia dal posto che io occupo nel mondo sensibile esterno, ed estende la connessione in cui mi trovo a una grandezza interminabile, con mondi e mondi, e sistemi di sistemi; e poi ancora ai tempi illimitati del loro movimento periodico, del loro principio e della loro durata.
La seconda comincia dal mio io indivisibile, dalla mia personalità, e mi rappresenta in un mondo che ha la vera infinitezza, ma che solo l’intelletto può penetrare, e con cui (ma perciò anche in pari tempo con tutti quei mondi visibili) io mi riconosco in una connessione non, come là, semplicemente accidentale, ma universale e necessaria"

I.Kant