Alla fine di luglio dei 1997 il Parlamento vara la riforma che prevede che le dichiarazioni fatte al PM in istruttoria, se non ripetute in aula, «non possono essere utilizzate nei confronti di altri senza il loro consenso». Contestualmente è bocciato un emendamento che obbliga i collaboratori di giustizia e gli imputati di reato connesso (persone che hanno ammesso le proprie colpe, in genere accusando anche altri, hanno patteggiato una pena minima e sono uscite dal processo) a rispondere in aula alle domande e alle contestazioni delle parti.
Contestualmente è bocciato un emendamento che obbliga i collaboratori di giustizia e gli imputati di reato connesso (persone che hanno ammesso le proprie colpe, in genere accusando anche altri, hanno patteggiato una pena minima e sono uscite dal processo) a rispondere in aula alle domande e alle contestazioni delle parti.
Sebbene molti parlamentari si affrettino a dichiarare che il nuovo "513" «non avrà valore retroattivo», la Cassazione comincia ad annullare processi a raffica. Finché, nel novembre 1998, la Corte costituzionale non dichiara parzialmente incostituzionale la legge, sottolineando che i processi si devono sì svolgere nel rispetto delle garanzie degli imputati ma che servono «all'accertamento giudiziale dei fatti di reato e delle relative responsabilità». Un obiettivo che il "513" rende quasi impossibile. La classe politica, come un sol’uomo, si scaglia contro la Consulta, accusata di «sostituirsi al Parlamento», e decide che quelle norme non sarebbero più state incostituzionali, perché sarebbero entrate a far parte della Costituzione stessa, coi nome di "giusto processo". Il 10 novembre 1999 la nuova legge, dopo appena un anno (un record), è varata.
SONO QUESTE LE LEGGI CHE LEI OGGI SI E' VANTATO DI AVER APPROVATO PER COMBATTERE LA MAFIA??
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