Dopo l'11 Settembre è lo stesso fondamento del diritto internazionale ad entrare in crisi. Tanto gli attentati terroristici quanto le reazioni militari mostrano i limiti del progetto politico e morale nato con l'Illuminismo.
E a chi se non ai filosofi spetta una valutazione critica dell'eredità illuministica?
Per affrontare questi nostri anni bui serve rimettere le mani nella cassetta degli attrezzi creata da Montesquieu, Voltaire, Kant e gli altri.
Per esempio il concetto chiave di "tolleranza" costruito nel secolo dei Lumi va sostituito, secondo Derrida, da quello di "ospitalità" ben più disponibile ad accogliere la diversità radicale dello straniero senza forzarlo all'adattamento alla nostra cultura.
Al contrario, Habermas ritiene che sia ancora il perno attorno al quale debba girare la democrazia, nel senso più alto in cui noi la intendiamo.
La modernità non va considerata conclusa o superata, piuttosto si tratta di realizzarla mantenendo vivi i suoi valori ancora attualissimi.
Modernità che è all'esatto opposto del fondamentalismo religioso, oscurantista e violento.
Il richiamo alle radici illuministiche del continente ha il senso, per entrambi sebbene in modi diversi, di indicare la via che l'Europa dovrebbe seguire.
Si tratta di tornare a Kant e alla sua nozione di cosmopolitismo per realizzare l'antico sogno dell'Illuminismo: l'emancipazione universale.
Che per Habermas si concretizza in un nuovo ordine mondiale e per Derrida in una "democrazia a venire", un'alleanza al di là del politico.
Tutto sta a mettersi d'accordo.
Lorenzo
domenica 31 agosto 2008
Camminando
Ognuno diventa, a volte senza accorgersene, il sè che decide di essere
dettando ogni mattina la fedeltà per se stessi.
La strada si fa passo dopo passo....................camminando (insieme).
sabato 30 agosto 2008
Solitudine
La società occidentale odierna è definita comunemente società della comunicazione. Il verbo «comunicare» apre vasti spazi che si perdono nell’anonimato di una pluralità indefinita; la comunicazione è divenuta la finestra principale dalla quale ognuno volge il proprio sguardo sull’umanità. Tuttavia, la comunicazione in se stessa – il «dire pur di dire», si potrebbe affermare parafrasando Heidegger – ha assunto maggiore importanza rispetto ai contenuti e al destinatario a cui la comunicazione medesima si rivolge. Questa constatazione evidenzia un paradosso: la possibilità di comunicare a, e con il mondo intero si accompagna a una scarsità d’argomenti e a un’insufficiente considerazione dell’altro. Detto altrimenti, una società, quale è la nostra, che vanta il superamento d’ogni forma d’isolazionismo – ne è un esempio l’annullamento dell’isolamento nazionale attraverso l’abbattimento delle frontiere e l’apertura al mercato globale – deve fare i conti con gli spettri dell’isolamento che in essa si generano. Il problema che a questo punto si pone è se sia possibile parlare di «pubblico» (dimensione pubblica) a prescindere dall’«altro» (alterità). Immediatamente, e a ragione, verrebbe da rispondere di no; eppure, l’occidente contemporaneo, con la pubblicizzazione dei prodotti industriali, con le nuove tecnologie della comunicazione, cerca la dimensione pubblica nell’annullamento dell’alterità d’altri.
domenica 24 agosto 2008
venerdì 22 agosto 2008
La riga del gesso
Se tracci col gesso una riga sul pavimento, è altrettanto difficile camminarci sopra che avanzare sulla più sottile delle funi.
Eppure chiunque ci riesce tranquillamente perché non è pericoloso.Se fai finta che la fune non è altro che un disegno fatto col gesso e l'aria intorno è il pavimento, riesci a procedere sicuro su tutte le funi. Ciò che conta è tutto dentro di noi; fuori nessuno può aiutarci.
Non essere in guerra con te stesso: così... tutto diventa possibile, non solo camminare su una fune, ma anche volare.~ Hermann Hesse - Imagination ~
Eppure chiunque ci riesce tranquillamente perché non è pericoloso.Se fai finta che la fune non è altro che un disegno fatto col gesso e l'aria intorno è il pavimento, riesci a procedere sicuro su tutte le funi. Ciò che conta è tutto dentro di noi; fuori nessuno può aiutarci.
Non essere in guerra con te stesso: così... tutto diventa possibile, non solo camminare su una fune, ma anche volare.~ Hermann Hesse - Imagination ~
Non si vede nulla - Pedro Salinas
<<Non si vede nulla, non si sente nulla.
Superflui gli occhi e le labbra, in questo mondo tuo.
Per sentire te non valgono i sensi consueti,che si usano con gli altri.Bisogna attenderne di nuovi.
Si cammina al tuo fianco sordamente, al buio,inciampando nei forse, nelle attese;
sprofondando verso l’alto con gran peso di ali.>>
Pedro Salinas, da “La Voce a Te Dovuta”
Superflui gli occhi e le labbra, in questo mondo tuo.
Per sentire te non valgono i sensi consueti,che si usano con gli altri.Bisogna attenderne di nuovi.
Si cammina al tuo fianco sordamente, al buio,inciampando nei forse, nelle attese;
sprofondando verso l’alto con gran peso di ali.>>
Pedro Salinas, da “La Voce a Te Dovuta”
giovedì 21 agosto 2008
Merleau-Ponty
Merleau-Ponty è, insieme a Sartre, il principale esponente dell' esistenzialismo francese: il motivo di fondo del suo pensiero (anche se la riflessione politica ne è una componente importante) è l' esistenza quale essenza dell'uomo .
A suo avviso, la riduzione fenomenologia non mette capo a una coscienza pura, come aveva preteso lo stesso Husserl, bensì ad un mondo della vita, antecedente ad ogni riflessione, nel quale soggetto e oggetto si presentano indistinti. Qui il rapporto originario con il mondo si costruisce attraverso il corpo , la cui dimensione fondamentale è data dall'esperienza vissuta della percezione . Il mondo è ciò che percepiamo e la fenomenologia si configura essenzialmente come descrizione delle modalità di percezione. Il corpo, infatti, è anteriore e irriducibile alla contrapposizione, costruita a posteriori dalla riflessione e dalle scienze fisiologiche, tra soggetto e oggetto, tra coscienza e mondo.
Questa impostazione consente a Merleau-Ponty di respingere le concezioni sartiane del nulla e della libertà. E' vero che il nulla appare nel mondo grazie alla soggettività e alla possibilità di trascendere il mondo e di annullare i propri progetti in ogni attimo, ma questa possibilità è sempre al tempo stesso quella di cominciare qualcos'altro, cosicché " noi non rimaniamo mai in sospeso nel nulla ", bensì " siamo sempre nella pienezza, nell'essere ". Allo stesso modo, egli rifiuta la nozione di il libertà assoluta, sganciata da ogni condizionamento, la quale porta alla conclusione della equivalenza delle scelte. La libertà assoluta è incompatibile con la nozione di situazione, ossia con l'essere-al-mondo, attraverso la corporcità e la percezione, che è proprio dell'uomo: " io non sono mai una cosa e non sono mai una coscienza nuda ", cosicché la libertà è sempre incontro di esteriore e interiore, è sempre condizionata e inserita in un orizzonte di possibilità.
Metafisica e nichilismo erano agli occhi di Merleau due forme di sapere insidioso ma contestabili. Il suo problema non era, come accadrà in seguito ad altri filosofi, di uscire dalla filosofia moderna. Ma di starci dentro in un modo originale. E per far questo segnalò con forza che cosa da Cartesio in poi era sfuggito a molti ma non a Husserl. Ossia che c' è un mondo che preesiste alla riflessione e che quel mondo non è staccato dalla coscienza, ma intrecciato con essa. Quel mondo è ciò che Merleau-Ponty chiamò corpo. Il corpo veniva prima di ogni altra cosa, prima della divisone tra materia e spirito, tra realtà e idea, tra soggetto e oggetto. Veniva prima di qualunque pretesa sistematica, prima dell' individuo. E quel corpo che improvvisamente balzava sulla scena filosofica non era lo stesso che la scienza fisiologica aveva indagato e analizzato. Il corpo, come lo pensava Merleau, era una specie di primordiale unità che conteneva dentro di sé quelle dualità che la filosofia moderna avrebbe programmaticamente tenuto separate e contrapposte. Dal corpo partivano le percezioni e queste non potevano essere indagate in chiave sensista, quasi che la percezione avesse la sua ragion d' essere in un mondo esterno che la rende vera.
Merleau era un intellettuale che credeva nelle virtù della sinistra. Quando uscì Umanismo e terrore, Sartre lesse e approvò. Disse, anni dopo, che Merleau era stata la sua guida. Scrisse "che egli si orientava meglio di me nel mondo ambiguo della politica. è stato Umanismo e terrore a farmi fare il salto".Tra umanismo (borghese) e terrore (proletario) Merleau abbracciò idealmente quest' ultimo.
Per il filosofo francese c' è una vita antecedente a ogni vita che viviamo (politicamente, culturalmente, biologicamente) ed è il nostro stare al mondo. Prendere innanzitutto coscienza di questo stato significava per lui misurarsi con il grado di libertà e di confusione che viviamo. Il mondo ci limita, la realtà ci condiziona, e nessun potere illimitato può mai esercitarsi sulle cose e sugli uomini.
Merleau si sentiva più responsabile delle cose che accadevano. Più cupo. Più triste. Più umano. Un uomo nostalgico della propria infanzia felice. Guardava la storia da sotto le luci dell' esistenza, non da sopra ,dove tutto è indistinto.
« Riflettere autenticamente significa darsi a se stesso, non come una soggettività oziosa e recondita, ma come ciò che si identifica con la mia presenza al mondo e agli altri come io la realizzo adesso. Io sono come mi vedo, un campo intersoggettivo, non malgrado il mio corpo e la mia storia, ma perché io sono questo corpo e questa situazione storica per mezzo di essi »M.-P.
mercoledì 6 agosto 2008
Tecnica e comunicazione
Per una corretta comprensione dell'etica moderna bisogna distinguere le azioni compiute dalle persone in due grandi "modi comunicativi", Il fare tecnico e l'agire comunicativo.Il primo rappresenta ogni azione compiuta dall'uomo in funzione "non conoscitiva" ma solamente come riproduzione di un qualche cosa già pensato. Il secondo ovviamente il contrario.Il fare tecnico lo potremmo chiamare anche agire strumentale, cioé un agire determinato da situazioni particolari e orientato verso fini individuali, considerate come meramente "tecniche" e "non sociali".
A questo "agire strumentale" Habermas verrà contrapponendo l'agire comunicativo. Habermas, insomma, tende a vedere il momento conoscitivo non assoluto e trascendente rispetto al fenomeno sociale che si studia: per quanto lo scienziato sociale possa sforzarsi, ingenuamente o con un poderoso apparato critico, di dare spiegazioni distaccate e obiettive di un fenomeno studiato, queste spiegazioni non possono essere "leggi" valide una volta per tutte.Nel pensiero habermasiano assume un ruolo centrale anche il concetto-programma di una comunicazione senza limiti e non autoritaria. Si tratta di una situazione discorsiva ideale che Habermas delinea come soluzione ai problemi della società e della politica nel mondo contemporaneo. La possibilità che tutti i gruppi sociali, dai politici agli intellettuali, dagli scienziati-tecnocrati all'opinione pubblica in generale, comunichino liberamente e siano partecipi in egual misura del dibattito sui problemi sociali, è vista da Habermas come la migliore difesa contro fenomeni quali le ideologie, l'alienazione, la sottomissione del momento politico alle logiche della tecnica e dell'economia, la crisi di identità dell'individuo, i rischi impliciti nella globalizzazione guidata.
Ovviamente in Italia di questi temi non se ne parla, se non nelle università.Aggiungiamo poi che con il governo Berlusconi d'ora in poi sapremo tutto sul gossip di attoruncoli improvvisati ma nulla dei grandi temi di questo mondo.
L'etica del giudizio
ETICA
Questa parola così bistrattata e modificata ad uso personale.
Da un punto di vista filosofico,l'etca,è quella disciplina che cerca di studiare in modo oggettivo( e non soggettivo!!) il comportamento umano,discernendo ciò che è bene o male.
Da platone e Aristotele in poi quasi tuti i filosofi hanno parlato di etica o filosofia dei costumi( metafisica dei costumi in Kant). Alla parola etica viene spesso (a volte a torto) affiancata la parola morale.
Inizio mettendo in evidenza un promo scoglio(come direbbe Kant) e cioè:come conciliare il fatto che è concretamente impossibile arrivare a un'etica totalmente oggettiva (cioè riconosciuta da tutti) quando esistono molte morali ?
Molti pretendono di arrivare a una definizione dell'etica con la semplice razionalità, evidenziando la sostanziale equivalenza dei termini oggettivo e razionale. Questo atteggiamento è alla base dell'errore assiomatico (un assioma è una proposizione che viene assunta come vera perché ritenuta evidente).
Ogni teoria deve riconoscere dei punti fermi, delle verità non dimostrate che sono assunte come vere e dalle quali razionalmente e senza commettere errori logici si desumono tutte le altre proposizioni.Purtroppo in campo etico questi "punti fermi" non sono affatto generalizzabili (come esempio limite pensiamo al cannibale), anche se all'interno di gruppi omogenei possono essercene molti in comune, rendendo possibile lo scambio e la discussione su temi etici.Gli assiomi etici di un singolo o di un gruppo permettono di definire un sistema (spesso collegato a una strategia esistenziale), all'interno del quale la razionalità correttamente applicata permette di arrivare a un grado di oggettività totale.
Uno dei limiti per arrivare a ciò è proprio il linguaggio ,le sue regole e i suoi limiti. I linguaggi sono frutto di tradizioni locali,e non solo, ma sempre mezzi di comunicazione circoscritti in una comunità,con la sua morale.
Un ragionamento sul linguaggio sarà frutto di un post successivo
"Il linguaggio è un labirinto di strade, vieni da una parte e ti sai orientare, giungi allo stesso punto da un'altra parte e non ti raccapezzi più..." (Wittgenstein)
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