sabato 30 agosto 2008

Solitudine

La società occidentale odierna è definita comunemente società della comunicazione. Il verbo «comunicare» apre vasti spazi che si perdono nell’anonimato di una pluralità indefinita; la comunicazione è divenuta la finestra principale dalla quale ognuno volge il proprio sguardo sull’umanità. Tuttavia, la comunicazione in se stessa – il «dire pur di dire», si potrebbe affermare parafrasando Heidegger – ha assunto maggiore importanza rispetto ai contenuti e al destinatario a cui la comunicazione medesima si rivolge. Questa constatazione evidenzia un paradosso: la possibilità di comunicare a, e con il mondo intero si accompagna a una scarsità d’argomenti e a un’insufficiente considerazione dell’altro. Detto altrimenti, una società, quale è la nostra, che vanta il superamento d’ogni forma d’isolazionismo – ne è un esempio l’annullamento dell’isolamento nazionale attraverso l’abbattimento delle frontiere e l’apertura al mercato globale – deve fare i conti con gli spettri dell’isolamento che in essa si generano. Il problema che a questo punto si pone è se sia possibile parlare di «pubblico» (dimensione pubblica) a prescindere dall’«altro» (alterità). Immediatamente, e a ragione, verrebbe da rispondere di no; eppure, l’occidente contemporaneo, con la pubblicizzazione dei prodotti industriali, con le nuove tecnologie della comunicazione, cerca la dimensione pubblica nell’annullamento dell’alterità d’altri.

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