lunedì 29 settembre 2008
Sarebbe ora di studiare Kant seriamente
Per Kant, un'azione è morale solo quando siamo in grado di giustificarla sulla base di un principio che valga per tutti, ossia di un imperativo universale, senza che ciò comporti una contraddizione. Se "universalizzo" la mia azione - se cioè immagino un mondo in cui nessuno mantiene le promesse - allora la nostra stessa esistenza andrebbe incontro al disastro.
Kant fa un altro esempio: il suicidio è morale o immorale?
Per capirlo basta pensare che, se tutti si suicidassero, sarebbe la fine del mondo.
Un'azione, dunque, è morale solo se supera la prova della universalizzabilità.
Di conseguenza, l'agire umano non si può fondare sul semplice conseguimento di scopi, poiché su questi non ci può mai essere un accordo universale, ma solo punti di vista particolari.
L’azione morale deve seguire una via diversa, che è la via indicata dalla nostra coscienza: noi dobbiamo agire moralmente secondo un imperativo categorico che ci comanda: tu devi.
La "volontà buona" non consiste nel perseguimento di scopi, anche degli scopi apparentemente più nobili, ma nella conformità della volontà alla legge dettata dalla ragione.
La madre che ama suo figlio, l'innamorato che ama la sua compagna non sono, solo per questo fatto, persone morali.
La morale nasce solo se i sentimenti sono guidati dalla ragione. Ciò significa che io posso non amare affatto l'individuo che mi sta di fronte, e tuttavia - se voglio agire in modo morale - devo ugualmente fare il suo bene, essere imparziale nei suoi confronti, agire come se l'amassi.
C'è un'esperienza che, almeno una volta, tutti noi abbiamo compiuto: l'esperienza del dovere, che facciamo quando la ragione ci impone di agire in un certo modo per puro rispetto del dovere. Scrive Kant: «La necessità pratica di agire in base a questo principio, cioè il dovere, non ha il suo fondamento in sentimenti, impulsi e inclinazioni, ma esclusivamente nel rapporto reciproco fra gli esseri ragionevoli».
Per il filosofo tedesco, infatti, tutti gli uomini agiscono secondo una razionalità comune.
Per questo motivo, nei rapporti con gli altri, noi dobbiamo mettere tutti sullo stesso piano, trattare tutti in quanto esseri razionali, rispettare la libertà di scelta di tutti.
Da ciò deriva la seconda massima dell'imperativo categorico: «Agire in modo da trattare gli altri sempre come fine e mai solo come mezzo».
Se noi trattiamo gli altri come essi trattano se stessi, allora i principi morali possono essere accettati da tutti, e la morale diventa il risultato di un accordo razionale fra uomini e donne.
Kant ha chiamato questa intesa razionale, questa spinta a vivere secondo principi condivisi, il regno dei fini. Si tratta di un mondo in cui ogni individuo è una persona morale, artefice dei propri fini e al contempo legislatore universale, in quanto capace di confrontare razionalmente i suoi principi con quelli degli altri.
Quello che risulta è un sistema di diritti e doveri rispettoso della libertà di ognuno, e scelto volontariamente da tutti, sulla base di una ragione scevra da motivi egoistici.
Lorenzo
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