lunedì 31 agosto 2009
Il PD che voglio
Riporto qualche passo del discorso di Ignazio Marino, candidato alla segreteria del PD.
E' una parte del post del blog La sinistra che vogliamo
“Fondamentalmente le differenze tra la mozione Marino e le mozioni Franceschini o Bersani sono nella chiarezza e nella capacità di dire dei sì e dei no”. E porta come esempio il tema del nucleare: “E’ stato calcolato che per il 2050 il pianeta avrà una temperatura di due gradi superiore a quella attuale. Ebbene di fronte a questo noi diciamo che il nucleare non lo vogliamo”. Stesso discorso per i cosiddetti “temi etici”, su cui il senatore scherza: “Pensavo che dopo la rivoluzione francese si chiamassero diritti civili” e prosegue: “Sono un cattolico che pensa che sia necessario lavorare per uno stato laico, perché la laicità è un metodo di lavoro”. È su questo punto che il candidato guadagna il suo applauso più fragoroso, con tanto di standing ovation, ed è a questo punto che propone un “referendum che chieda al popolo delle primarie come vuole sia scritta la legge sul testamento biologico. Se il 99 per cento dei nostri elettori dice no al mio disegno di legge sul testamento biologico allineandosi a Paola Binetti, me ne farò una ragione, ma se il 99 per cento dei nostri elettori dirà si al mio disegno di legge anche la Binetti dovrà farsene una ragione”.
Nick Cave
In his boat and through the dark he rowed
Chained to oar and the night and the wind that blowed
Horribly round his ears
Under the bridge and into your dreams he soars
While you lie alone in that idea-free sleep of yours
That you’ve been sleeping now for years
And he wants you
He wants you
He is straight and he is true
Ooh hoo hoo
Beneath the hanging cliffs and under the many stars where
He will move, all amongst your tangled hair
And deep into the sea
And you will wake and walk and draw the blind
And feel some presence there behind
And turn to see what that may be
Oh, babe, it’s me
And he wants you
He wants you
He is straight and he is true
Ooh hoo hoo
domenica 30 agosto 2009
Straniero
Ascolta leghista, il tuo alfabeto è latino, il tuo caffè è brasiliano, i tuoi numeri sono arabi, la tua filosofia è greca, la tua religione ebraica, la tua auto giapponese, le tue alpi sono svizzere-francesi-austriache e slovene, le tue leggi derivano dal diritto romano, matematica e geometria egiziane, la tua libertà francese.
Allora dimmi, dov'è lo straniero?
Lorenzo
Herbert Marcuse - Eros e civiltà
A pochi anni dall'uscita de La vita contro la morte di Norman O. Brown, libro che produsse non pochi effetti sulla cultura e la controcultura giovanile degli anni '50 soprattuto negli Stati Uniti, ecco apparire Eros e civiltà di Herbert Marcuse, testo che quasi eclissò il precedente.
Le tematiche e gli approcci al pensiero freudiano dei due autori erano piuttosto simili. Marcuse, tuttavia, leggeva l'opera di Freud in una chiave meno individualistica, in termini che ben poco avevano a che fare con la terapia delle personalità disturbate e nevrotiche, il punto debole della catena repressiva.
Pur avendo preso atto dell'involuzione conservatrice della pratica psicoanalitica, ormai, specie negli Stati Uniti, niente più che una cura per riconciliare il soggetto nevrotico con la realtà sociale, Marcuse studiò attentamente Freud, trovando che, accanto alla pur desolante constatazione che l'iniziatore della psicoanalisi non era mai andato oltre l'auspicato ritorno alla normalità ed il reinserimento nel mondo borghese, nella psicoanalisi stessa erano insite potenzialità ben più grandi e radicali.
In tale contesto la scena era movimentata soprattutto da Erich Fromm, collaboratore dell'Istituto di Francoforte e in chiara rottura con l'ortodossia freudiana.
Ma la proposta di riunire marxismo e psicoanalisi in una sorta di freudomarxismo avanzata da Fromm non piacque a Marcuse, perché entrambi muovevano da una lettura antitetica di Marx. Attratto più dalla macchina schiacciasassi della contrapposizione radicale di Wilhelm Reich - la totale incompatibilità tra lavoro e piacere - che dalla proposta neofreudiana di Fromm - la possibilità di distinguo tra produttivo ed improduttivo, costruttivo e distruttivo, libero e alienato - Marcuse accusò Fromm di aver tratto i suoi principi teorici dal bagaglio dell'ideologia dominante.
Per questo, si è convinti che l'approccio marcusiano a Freud sia molto più radicale e spiazzante di quello pur revisionistico di Fromm.
Marcuse, di fatto, rovesciò Freud, affermando il contrario di quanto lo stesso Freud aveva teorizzato in un momento più filosofico che psicoterapeutico: signori, è possibile una società non repressiva.
La psicoanalisi deve mutare pelle. Non deve limitarsi ad una funzione terapeutica, ma diventare una teoria generale in grado di integrare ed arrichire il marxismo critico.
Marcuse era, ovviamente, d'accordo con Freud nello scorgere nella repressione il prezzo da pagare alla civilizzazione.
Ma, a differenza di Freud, che su questo era stato piuttosto lapidario, affermava che non è la civiltà in quanto civilità a risultare repressiva, a richiedere una costante repressione dell'istintuale, ma quel tipo particolare di civiltà impostasi in Europa ed in America: la civiltà autoritaria e borghese.
In sostanza, diceva Marcuse, questa società non si è limitata a richiedere il minimo della repressione istintuale richiesto dalla convivenza civile, ma ha preteso un surplus repressivo per motivi che hanno nulla a che vedere con la natura dell'uomo e la convivenza civile stessa, ma sono tutti riportabili al sistema sociale, politico ed economico, oltre che a convinzioni ideologiche.
La repressione è l'unico modo di garantire l'efficienza, quel principio di prestazione che è alla base dell'efficientismo capitalistico.
La genitalizzazione monogamica, la famiglia, sono istanze funzionali alla produzione ed alla riproduzione, abiti etici imposti dal regime alla gente.
Per certi aspetti, questi sono temi già presenti nel marxismo di Marx, e di suo genero Paul Laforgue soprattutto (noto teorico dell'ozio), ma attraverso Marcuse acquistano una nuova attualità in forza del rapporto con la psicoanalisi, la quale ha portato alla luce il non detto di centinaia di anni.
In questa chiave, afferma Marcuse:« ... il fine della vita, anzichè essere quello di godere e far godere il nostro stare al mondo, a titolo di liberi soggetti-oggetti libidici, è storicamente divenuto il lavoro e la fatica, che gli individui hanno finito per accettare come qualcosa di "naturale",o come la "giusta" punizione per qualche colpa commessa, "introiettando" in tal modo la repressione, secondo il principio della cosiddetta "autorepressione dell'individuo represso".» (1)
Tuttavia - secondo Marcuse - la civiltà della prestazione non è riuscita a far tacere completamente l'impulso primordiale verso il piacere, la cui memoria è conservata nell'inconscio e nelle sue fantasie: «La fantasia ha una funzione d'importanza decisiva nella struttura psichica totale: essa collega gli strati più profondi dell'inconscio con i prodotti più alti della coscienza (arte), il sogno con la realtà; conserva gli archetipi della specie, le idee eterne ma represse della memoria collettiva e individuale, le immagini represse e ostracizzate della libertà.» (1)
Secondo Marcuse, nella storia della cultura occidentale sono apparse figure consapevoli di questa degenerazione dell'uomo in una macchina da produzione. In particolare Nietzsche e Schiller.
Ma ancor prima di loro, nei miti più antichi che precedettero la nascita della filosofia, si possono trovare figure di questa peripezia in Orfeo e Narciso.
Se il canto di Orfeo sarebbe stato in grado di istituire un ordine senza repressione (il riferimento al nascente rock'n'roll è sicuramente voluto), il Narciso contemplante il proprio corpo diventa, agli occhi di Marcuse "una vita di bellezza". Orfeo e Narciso espressero così il lamento della natura umana repressa contro la logica del lavoro forzato.
Se tutta questa analisi, in qualche modo, potrebbe accordarsi e conciliarsi con una prospettiva marxista e politica, perché in fondo non travalica l'innocenza di alcune istanze presenti sempre e comunque in ogni nuova generazione, il problema è però dato dall'uso immediato, e politico, di questi dati: come tradurli in rivendicazioni sociali? In diritti? In una strategia per il diritto a godere della vita?
Il tutto, al di là del fatto che nella pratica quotidiana, secondo Marcuse, è già operante un maggior uso della sensibilità, una tendenza a vivere la vita come un gioco, una spinta affinché le forze dell'amore (Eros) si impongano a su Thanatos, le forze negative e gli istinti di morte, esiste nel sistema stesso la possibilità di una potente ed inaudita possibilità della riduzione dei tempi di lavoro, liberando tempo disponibile per una vita più gradevole.
In tale contesto, è evidente che l'atmosfera ottimistica di Eros e civiltà è nettamente in contrasto con le visioni pessimistiche di Horkheimer ed Adorno, per i quali la perdita di autenticità non è certamente riducibile a tempo, denaro, repressione della libido, ma a questioni più profonde e radicali.
Dopo Eros e civiltà, anche Marcuse avrà un ripensamento e, soprattutto nel suo capolavoro, L'uomo ad una dimensione, arriverà a denunciare come falsa la liberazione sessuale, contrapponendovi una liberazione dell'amore ancora tutta da venire e persino da capire.
(1) Herbert Marcuse - Eros e civiltà - "); //-->
venerdì 28 agosto 2009
Appello per la libertà di stampa
Firma l'appello
L'APPELLO DEI TRE GIURISTI
L’attacco a "Repubblica", di cui la citazione in giudizio per diffamazione è solo l’ultimo episodio, è interpretabile soltanto come un tentativo di ridurre al silenzio la libera stampa, di anestetizzare l’opinione pubblica, di isolarci dalla circolazione internazionale delle informazioni, in definitiva di fare del nostro Paese un’eccezione della democrazia. Le domande poste al Presidente del Consiglio sono domande vere, che hanno suscitato interesse non solo in Italia ma nella stampa di tutto il mondo. Se le si considera "retoriche", perché suggerirebbero risposte non gradite a colui al quale sono rivolte, c’è un solo, facile, modo per smontarle: non tacitare chi le fa, ma rispondere.
Invece, si batte la strada dell’intimidazione di chi esercita il diritto-dovere di "cercare, ricevere e diffondere con qualsiasi mezzo di espressione, senza considerazioni di frontiere, le informazioni e le idee", come vuole la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, approvata dal consesso delle Nazioni quando era vivo il ricordo della degenerazione dell’informazione in propaganda, sotto i regimi illiberali e antidemocratici del secolo scorso.
Stupisce e preoccupa che queste iniziative non siano non solo stigmatizzate concordemente, ma nemmeno riferite, dagli organi d’informazione e che vi siano giuristi disposti a dare loro forma giuridica, senza considerare il danno che ne viene alla stessa serietà e credibilità del diritto.
Franco Cordero
Stefano Rodotà
Gustavo Zagrebelsky
mercoledì 26 agosto 2009
sabato 15 agosto 2009
Due parole sull'Islam
Non voglio perdere tempo a smontare un pregiudizio radicato, ovvero che il terrorismo islamico sia figlio legittimo di una cultura, quella islamica, che a sua volta esprime una visione integralista e dogmatica. Nemmeno voglio mettermi a discutere la tesi che afferma una sostanziale aggressività della mentalità religiosa islamica nei confronti di tutto ciò che è diverso, quindi dell'Occidente "cristiano" o "ateo" che sia.
Ciò che conta è che la nostra percezione dell'Islam, negli ultimi tempi, si presenta così e gli stessi islamici non fanno molto per rappresentarsi diversamente.
Dico solo che tale percezione non è completa, perché manca delle necessarie informazioni sulle forze laiche e democratiche e sull'altro Islam, quello che rifiuta la logica del Wali Faqih, cioè della guida suprema, tipico della teocrazia scita che domina a Teheran, e parimenti si oppone alle teologie più reazionarie presenti tra i sunniti, quelle che reclamano la restaurazione del califfato. Dobbiamo solo capire che queste forze d'opposizione all'integralismo formulano un giudizio negativo sulle società islamiche attuali, che è sostanzialmente identico alle critiche che i più ragionevoli tra gli occidentali rivolgono a queste società.
Eppure, se le stesse cose le diciamo noi, scatta sempre "qualcosa" di indefinibile in termini razionali. Saremmo viziati di orientalismo, cioè di una interpretazione deformante della realtà storica islamica, e il nostro giudizio sarebbe persino "offensivo". Siamo sempre rimproverati di non sapere abbastanza, di non comprendere che le nostre categorie di pensiero ed i nostri criteri di giudizio non si possono applicare al diverso e all'incommensurabile. Come se non fosse vero che gli uomini e le donne di tutto il mondo hanno in comune bisogni ed aspirazioni fondamentali e proprio in questo dovremmo cercare l'uguaglianza.
Ci troviamo inoltre a fronteggiare un avversario interno alla nostra cultura. Lo possiamo chiamare l'antimperialista totale, senza se e senza ma. Per costui il nemico è in ogni caso il grande Satana, cioè gli Stati Uniti, sempre e in ogni circostanza. Questo tipo di interpretazione pone in secondo piano, spesso fino alla disonestà intellettuale vera e propria, il carattere reazionario dell'integralismo islamico e rifiuta di prendere atto, per esempio, che le società dominate dagli integralisti sono disumane e i loro capi mirano a fermare il progresso e l'emancipazione, il diritto all'autodeterminazione degli individui. Non diversamente dagli stessi integralisti, questi nostri fondamentalisti della rivoluzione mondiale, considerano gli agenti terroristici nient'altro che carne da cannone da utilizzare senza scrupoli per la battaglia contro il grande Satana. Si tratta di una posizione aberrante che non possiamo accettare.
La mia tesi è abbastanza semplice: nel mondo islamico è in atto uno scontro gigantesco tra le forze della reazione - bene organizzate e con le idee molto chiare, anche se irrimediabilmente sbagliate - e le forze del progresso - mal rappresentate, divise, spesso con idee molto confuse, sostanzialmente deboli e incapaci di darsi una riconoscibile identità politica e intellettuale. La linea politica giusta, per l'insieme dell'Occidente, è dialogare con queste forze, e aiutarle a vincere nei tempi storici necessari. Tempi lunghissimi. Ciò esclude che siamo di fronte ad uno scontro di civiltà e di religioni. Siamo solo di fronte ad un momento di grandi e rapide trasformazioni delle società islamiche che dobbiamo comprendere e cercare di incanalare nella giusta direzione. E, certamente, siamo anche di fronte alla minaccia terroristica tout court. Su come affrontarla, i pareri sono discordi e la questione non si può risolvere in poche battute.
Perché prevale il fondamentalismo?
Naturalmente, la prima domanda che viene spontanea è la seguente: perché, nonostante la presenza di voci alternative, prevale il fondamentalismo?
Possiamo abbozzare una serie di risposte. La prima è che le politiche economiche e di sviluppo perseguite dai capi "modernisti" e nazionalisti, da Nasser in Egitto a Saddam in Iraq, a Hassad in Siria sono sostanzialmente fallite. Sotto un profilo marxista, potremmo dire che le borghesie nazionali non sono riuscite a decollare. I grandi profitti del petrolio sono stati utilizzati in modo distorto, o per arrichire le cricche del potere, o per perseguire una dissennata politica di armamenti, ma non hanno promosso uno sviluppo reale. Del resto, i fondamentalisti trovano facile denunciare questi regimi come corrotti: pura verità.
Una seconda ragione è ancora più evidente: questi stessi capi "modernisti" hanno perseguito i loro obiettivi con metodi di governo dittatoriali e cinici, eliminando con precisione stalininiana tutte le opposizioni. Il caso più evidente è il regime sanguinario di Saddam. Non hanno seguito una via alternativa al fondamentalismo. In un certo senso lo hanno favorito. Nasser riuscì a fare di al-Qutb un "martire" impiccandolo.
Una terza ragione è di tipo "psicologico", ma non per questo pare meno incisiva. L'Islam è stato ingiuriato, deriso, umiliato ripetutamente, in particolare dalla politica israeliana sostenuta dagli Stati Uniti. Ma non solo, anche da forze progressiste ateisticheggianti e liberaleggianti presenti nell'Islam stesso.
Una quarta ragione si può trovare, infine, nel fatto che i regimi impropriamente definiti come moderati (solo perché amici degli americani, in realtà reazionari e forcaioli quanto gli altri) non sono riusciti a far meglio. Anch'essi presentano un bilancio fallimentare. Inoltre sono colpevoli per aver collaborato con l'Occidente, tradendo il loro popolo, la loro religione, la loro identità, contribuendo in maniera decisiva a introdurre nell'Islam stili di vita corrotti e degeneri come nella Persia dello scià Reza Pahlevi o nel Libano.
C'è poi una quinta ragione, ed è forse la più inquietante: i fondamentalisti sono stati appoggiati, finanziati, armati dallo stesso Occidente in chiave antisovietica ed anticomunista negli anni della guerra fredda e, soprattutto a partire dall'occupazione sovietica dell'Afghanistan.
Il fondamentalismo islamico del Novecento si è sempre caratterizzato come avversario irriducibile del marxismo e del comunismo quali negatori dell'etica musulmana.
L'appoggio ha avuto un canale ufficiale, per così dire, alla luce del sole, ma si è avvalso soprattutto di canali sotterranei e legami con la criminalità mafiosa, la produzione e il commercio della droga, le intermediazioni delle cupole di ogni tipo, dalla mafia siciliana a quella cecena, da quella russa a quella turca, siriana e libanese. In tale grande gioco ha avuto un ruolo di rilievo la loggia P2 di Licio Gelli e sono numerosi i politici italiani della prima repubblica che si sono arricchiti con il traffico d'armi con alcuni paesi mediorientali e gli eserciti privati dei fondamentalisti. I grandi centri della coltivazione dell'oppio per la produzione di eroina furono la valle della Bekaa e l'Afghanistan. La prima era sotto il controllo diretto del fratello del dittatore siriano Hassad, il secondo sotto quello dei mujahaddin e poi dei talebani.
Il primo atto dei fondamentalisti ingrassati dai dollari americani e dal denaro sporco del narcotraffico è stato quello di attaccare dall'interno i regimi cosiddetti moderati, colpevoli della de-islamizzazione. Poi, a sconvolgere tutte le carte, intervenne la rivoluzione iraniana del 1979. Il più importante alleato degli Stati Uniti nell'area mediorientale veniva spazzato via da un fronte molto esteso che andava dai social-comunisti del Tudeh, ai progressisti eredi di al-Shari'ati e ai pasdaran della rivoluzione khomeinista. Fu un'alleanza fragile e durò poco, ma servì a sollevare grandi speranze del tutto infondate. Khomeini fu abilissimo nel tradirle sistematicamente, liquidando in primo luogo tutte le componenti laiche, socialiste e moderate della coalizione rivoluzionaria. Poi passò all'attacco dell'Occidente istituendo corpi speciali di infiltrati, cellule terroristiche pronte ad agire. In questo piano trovò un alleato nel leader libico Gheddafi e in gruppi sciti libanesi, costituiti in particolare da affaristi e finanzieri collegati a logge massoniche europee e associazioni segrete eversive di tipo nazifascista, dichiaratamente antisemite. L'Occidente non trovò di meglio che scagliare contrò la rivoluzione iraniana il regime di Saddam Hussein, giocando furbescamente sulla megalomania del rais. Fu una tragedia, una guerra lunghissima ed estenuante, combattuta senza esclusione di colpi. Saddam ricorse all'uso del gas nervino. I soldati iraniani furono spediti all'assalto per ondate. Una marea umana che sprofondava nel fango e nella sabbia, e poi finiva soffocata dai gas. I capi delle potenze occidentali e della stessa Unione Sovietica sono politicamente e moralmente responsabili al pari di Saddam e di Khomeini. Senza il loro sostegno, la guerra sarebbe finita per mancanza di munizioni. Qualcuno, su questa sporca guerra ha costruito la propria fortuna.
Ma esperienze come queste lasciano un segno indelebile. Gli islamici sanno, non dimenticano. L'odio inestinguibile che nutrono nei confronti degli americani, degli occidentali, degli europei, di tutto ciò che viene da Washington, il grande Satana, è strettamente legato a questa tragedia. La quale fu la vera, grande umiliazione del mondo islamico nel secolo trascorso.
giovedì 13 agosto 2009
martedì 11 agosto 2009
De gustibus...........
Della Tosca adoro il finale del primo atto.
Un vero smacco alla chiesa.
Ad ogni modo preferisco i Pink Floyd!
lunedì 10 agosto 2009
Habermas
Se la sua produzione è immensa, la letteratura su di lui è di mole difficilmente quantificabile. Bene o male, come bersaglio polemico o come punto di riferimento, Habermas è dunque un filosofo importante, conosciuto ed apprezzato anche negli Stati Uniti, dove generalmente prevale il sospetto nei confronti di ciò puzza vagamente di marxismo (specie quello critico). Minor fortuna ha avuto solo in Francia, dove il dibattito filosofico e culturale segue spesso logiche molto particolari.
Questa notorietà di Habermas dipende dalla sua originalità. Erede della teoria critica della scuola di Francoforte, in un certo senso ne è il continuatore, mentre, per altro verso, ne risulta anche il critico più lucido e feroce, sia quando assimila, per esempio, il pensiero di Adorno alla corrente irrazionalistica del postmoderno, sia quando denuncia il desiderio di Marcuse di una scienza alternativa a quella reale come cattiva utopia.
Alla luce di quanto si è visto finora, si può condividere la breve ricostruzione che offre Franca D'agostini in Analitici e continentali: ci sono state, nel secolo scorso, tre diverse fasi del lavoro di Habermas. La prima si svolse negli anni '60, durante i quali egli prese su di sé l'onere di continuare la teoria critica della Scuola di Francoforte proprio nel momento della sua massima crisi e dell'involuzione del pensiero di Max Horkheimer.
In questo periodo egli fu per qualche tempo "marxista", ma è notevole scoprire che produsse una serie di contributi ad un esame storico della razionalità anche nella sua giovanile stagione pre-marxista.
La seconda fase caratterizzò l'impegno di Habermas negli anni '70, e si svolse lungo una linea, da lui stesso definita come teoria dell'agire comunicativo. In tale periodo Habermas si confrontò criticamente in particolare con la corrente ermeneutica, ricevendo tuttavia numerosi spunti sia da Noam Chomsky che da Searle.
La terza fase (anni '80) portò Habermas a contrastare apertamente il postmodernismo, schierandosi per una difesa della razionalità, anche se in termini critici, una razionalità universale contrapposta alla presunta razionalità del dominio, identificata tout-court con la "ragione" filosofica e scientifica. Riprendeva così il filo del ragionamento dei suoi anni pre-marxisti.
In generale, salvo l'importante Conoscenza ed interesse del 1968, Habermas non aveva mai affrontato sistematicamente questioni teoretiche fondamentali, limitandosi ad insistere sui temi etici e politici che mantenevano al centro la problematica della liberazione in una visione democratica. Con gli scritti raccolti in Verità e giustificazione (Laterza 1999) il lungo lavoro di esplorazione pare tornare al punto di partenza.
Ecco allora un Habermas IV.
Lo coglie ancora Franca D'agostini in una recensione apparsa sul Manifesto. «Verità e giustificazione è un libro importante, per diverse ragioni. Anzitutto perché contiene una messa a punto sulla situazione attuale in filosofia che è di grande aiuto per predisporre un piano comune di discorso. Secondariamente perché Habermas con onestà e pazienza si misura, in questi saggi, con problemi classici ma entro certi termini inaggirabili, condivisi dalla filosofia contemporanea, ma anche dal pensiero comune, e da quello scientifico; per esempio: come definire i rapporti tra norme e natura? come fare i conti con la presunta impossibilità di una "presa diretta", non mediata linguisticamente, sulla realtà? quale può essere il nesso tra rappresentazione e comunicazione (problema in cui secondo Habermas oggi si gioca la vecchia carta del rapporto tra teoria e prassi)? quale può essere il ruolo della filosofia nel mondo contemporaneo?»
Non si era ancora spenta l'eco di questo ritorno che apparve nel 2002 Il futuro della natura umana, edito da Einaudi. La bioetica diviene così l'ultimo terreno di confronto di questo grande maestro di razionalità. Ancora D'Agostini, puntualmente, sulle colonne del Manifesto, intervenne con una recensione: «L'idea di fondo dell'autore è che la casualità della nascita deve essere in linea di principio preservata, deve cioè rimanere come lui dice "indisponibile". La modificazione genetica è legittima con scopi terepautici, è cioè accettabile la cosiddetta genetica negativa, che toglie e scongiura le malattie ereditarie, non la genetica migliorativa e pianificante, o lo "shopping in the genetic supermarket.»
Simili posizioni non potevano che sfociare in un interessante confronto con l'intellettuale teologo Joseph Ratzinger, quando questo non era ancora diventato Benedetto XVI.
Il loro incontro avvenne il 19 gennaio scorso, sul podio della Katholische Akademie in Bayern, a Monaco di Baviera, sui grandi problemi della scienza e della vita, ma anche della religione e dello stato democratico moderno. I rispettivi discorsi sono stati prontamente tradotti per la Morcelliana, che ha stampato un libro nella collana del "Pellicano Rosso" intitolatoEtica, religione e stato liberale.
Brevissimi cenni biografici
Jürgen Habermas nacque a Gummersbach il 18 giugno 1929. Figlio del direttore della locale Camera di commercio, da adolescente fu costretto a indossare l'odiata camicia bruna ed a marciare nelle file della "Gioventù hitleriana". Si laureò nel 1954 a Bonn con una tesi su Schelling. Lavorò quindi come giornalista, occupandosi prevalentemente delle tendenze sociali e intellettuali del suo tempo. Nel 1956 divenne assistente di Theodor Adorno all'Istituto di Francoforte. Successivamente, nel 1962, ricevette un incarico di professore di filosofia presso l'Università di Heidelberg.
Nel 1964 tornò a Francoforte come professore di sociologia e filosofia e quattro anni dopo pubblicò il saggio Scienza e tecnica come ideologia, mentre il movimento di protesta studentesco raggiungeva il suo culmine. Habermas criticò l'ala estremistica del movimento, accusandola persino di "tendenze fasciste" nel senso di irrazionali, e comunque vide lucidamente che l'illusione di alcuni leader di vivere una situazione pre-rivoluzionaria era del tutto sbagliata.
Nel 1968 pubblicò Conoscenza e interesse. Nel 1970 uscì Logica delle scienze sociali.
Nei quattro anni dal 1971 al 1983 fu direttore, con C.F.von Weizsäcker, del Max Planck-Institut di Starnberg. Dal 1974 fino al 1980 operò studi sull'evoluzione sociale e la psicologia dello sviluppo, che lo condussero alla pubblicazione dei due volumi Teoria sull'agire comunicativo nel 1981. Dal 1982 tornò ad insegnare nuovamente filosofia a Francoforte. l'anno successivo pubblicò L'etica del discorso, altra opera considerata fondamentale perché contenente la proposta di un principio universale di pragmatizzazione che trasformava l'imperativo categorico di Kant da norma individuale in una possibilità di intesa intersoggettiva.
Nel 1985 pubblicò Il discorso filosofico della modernità; un anno più tardi intraprese un progetto di ricerca sulla filosofia del diritto e la teoria della democrazia. Nel 1988 uscì Il pensiero postmetafisico. È dal 1994 professore emerito a Francoforte e alla Northwester University di Chicago.
Notte di S.Lorenzo
Questa notte sarà la notte delle stelle cadenti.
Le Perseidi, che scontrandosi contro l'atmosfera terrestre creano il fenomeno delle scie nel cielo.
Vengono chiamate le " lacrime di S.Lorenzo", lacrime che vagano per il cielo per cadere proprio il giorno della sua festa.
E' il mio onomastico, un solo desiderio e tante lacrime.
Lorenzo
domenica 9 agosto 2009
Paranoid android
Please could you stop the noise
I'm tryin to get some rest
From all the unborn chicken voices
in my head
What's that?
What's that?
When I am king
you will be first against the wall
With your opinions
which are of no consequence at all
What's that?
Ambition makes you look pretty ugly
Kicking screaming gucci little piggy
You don't remember, you don't remember
Why don't you remember my name?
Off with his head man, off with his head!
Why won't he remember my name?
I guess he does
Raindown
raindown
come and raindown
on me
From a great height,
From a great height,
Raindown rain down come
and rain down on me
From a great height,
From a great height,
That's it sir
you're leaving
The crackle of pig skin
The dust and the screaming
The yuppies networking
The panic
The vomit
The panic
The vomit
God loves his children
God loves his children, yeah
sabato 8 agosto 2009
Riprenderò a scrivere di filosofia
Forse è l'unica cosa che so fare.
Cercare di rinascere attraverso questo blog, cercando di non ricordare passaggi che hanno segnato la mia vita.
Se sentirò l'esigenza di scrivere di me stesso lo farò attraverso un nuovo blog, ai margini della blogosfera, nascosto, lontano da sguardi indiscreti, curiosi e giudici di ogni risma.
Mi basterà scrivere, se sentirò la necessità, i miei stati d'animo, per esorczzare le mie paure.
Ma qui, in questo blog, ci saranno solo le mie idee, i miei pensieri e astruserie filosofiche, perchè ho questa passione e non voglio gettarla via.
Lorenzo
Nessun commento per favore
lunedì 3 agosto 2009
Gente di collina
Da bambino andavo almeno un mese dai miei nonni materni a Castelnuovo Belbo, provincia di Asti.
Un paese arrampicato per metà su una delle morbide colline del Monferrato astigiano, nel mezzo del Piemonte.
proprio in cima alla collina c'era la casa dei miei nonni. Una casetta nel verde, con il pozzo in cortile, una piccola stalla dove fino a qualche anno prima c'era il bue, unico mezzo di locomozione per lavorare la terra, un orto con tantissime verdure, frutta e un " casotto" con conigli e galline.
I miei mi mandavano lì per " cambiare aria", visto che io abitavo in quell città di pianura afosa che si chiama Alessandria.
Cambiavo totalmente ritmo di vita, alimentazione, amici, giochi, modo di relazionarmi. Mi adattavo subito, forse ho sempre ammirato la gente di collina, abituata a camminare per quelle salite lunghissime, non ripide ma con una pendenza costante, quasi a simboleggiare la durezza della vita di campagna.
Mia nonna, cuoca eccezionale e con prodotti la maggior parte coltivati nell'orto, mi preparava prelibatezze d'altri tempi. Torta con i mirtilli e fragole di bosco, minestroni con la pasta fatta in casa, il coniglio in umido e la sua famosa purea di patate e carote, agnolotti fatti in casa, gnocchi di patate.
Mio nonno, uomo di campagna ma arguto e con quella intelligenza pratica che solo i contadini hanno, mi portava sempre con lui nella vigna, spettacolo ed esempio di ordine e lavori da manuale, la quale ricambiava quella dedizione alla terra a fine Settembre con una ottima uva barbera.
Ho scoperto sapori per poi perderli nuovamente dopo pochi anni, quando, ormai ragazzo, ho preso la mia strada per altre lande da esplorare, con gli amici.
La colazione la preparava mio nonno, per me burro e marmellata, per lei la scodella di latte con il pane del giorno prima, per lui un pezzo di gorgonzola, mezzo peperone e, se c'era. magari una acciuga sott'olio con il famoso "bagnet". Mi sono sempre chiesto il perchè, anche negli anni a seguire. Ho sempre pensato che mia nonna fosse femminista costringendo il nonno a fare anche lui le faccende di casa.
Ricordo, una decina di anni dopo, conversando con loro ormai molto vecchi, chiesi il perchè di questo. Nel sentire parlare di femminismo mia nonna guardò il marito con aria interrogativa, quasi come dire, è cresciuto in città, el capisc pà ( con un bellissimo e dolce accento di Canelli).
Mio nonno disse: " Gianlorenzo, ma perchè questa domanda? Guarda che è normale, se uno non ha tempo per una cosa lo fà l'altro".
Questa è stata la semplice risposta.
Notai poi a pranzo, prima no, non lo avevo mai fatto, che la disposizione dei cibi era sempre messa in mezzo a loro, si dividevano tutto in tavola e spesso mettendo porzioni uno nel piatto dell'altro.
Io, che teorizzavo teorie comuniste o chissà cosa, la risposta era invece semplice, "se uno non ha tempo lo fa l'altro".
Forma mentis della gente di campagna, di Castelnuovo Belbo, di collina, del Monferrato, del Piemonte, di tutte le regioni del nord del centro e del sud, di tutta l'Italia..... non della Padania.
Lorenzo
Bretagna
Ar re 'n oad, ar re yaouank a ya war-raok war an hent
An avel ne vank ket wa' 'n divjod, ba' skevent
Avel a-benn ha gouelioù tenn
Avel 'ar vor, gouelioù digor
Mat er c'horf mat er penn
Dao mont war c'horr(e)
Ha dalc'homp stag hag e vimp trec'h
Dalc'homp ar vag, diwall douzh an traezh
Erru et porzh 'raok pell 'vo levenez
Krog an daouarn douzh hon douar
Chomomp Bretoned, kaoc'h da bPariz
Krog war 'garreg, krog an daoudroad
Enor ha lorc'h d'ar Vreizhiz
Les jeunes et les plus mûrs, on va de l'avant,
Les joues fouettées, la poitrine gonflée de vent,
Vent du large, vent du nord,
Vent debout, voiles tendues, vent sur mer, toutes voiles dehors,
Bien dans la tête, bien dans le corps,
Il faut y aller!
Et croche dedans, à nous la victoire,
Tiens bon le bateau, gare aux bans de sable !
Et, d'ici peu, chez nous, il y aura de la joie !
Accrochés au pays,
Rester Bretons, merde à Paris !
Accrochés au roc, les mains, les pieds,
Retrouvés respect, fierté.
En route vers la Bretagne
sabato 1 agosto 2009
Uno dei giorni che chiamai la polizia sul treno
Quando facevo il capotreno, un giorno avevo due viaggiatori che rifiutavano di pagare il biglietto.
Erano anche spocchiosi e maleducati.
Non erano italiani.
Mi dissero: " Italiani, sempre a chiedere soldi" " vergogna, italiani mafia".
Io, con atteggiamento professionale chiesi loro di essere identificati e di mostrarmi, cortesemente, il passaporto per redigere il verbale. Per risposta mi diedero del mafioso.
Chiamai la polizia e dissi loro " per cortesia, ci sono due extracomunitari da identificare, necessita il vostro intervento".
Quando vennero mi dissero i poliziotti, ma non sono extracomunitari, sono bianchi!
Io risposi, che centra se sono bianchi, uno è svizzero e l'altro è statunitense, appunto extracomunitari.
Passai quasi un ora nel posto polfer con il rischio di denuncia per "procurato allarme".
Questa è l'Italia, dove i nomi hanno valore solo in un senso.
Lorenzo
Testamento biologico in internet
Trovo molto interessante questa iniziativa statunitense che riguarda la possibilità di mettere in internet il proprio testamento biologico
Da La Repubblica:
Negli Usa da qualche giorno, grazie ad un nuovo servizio di Google Health, il portale sulla salute di Google, è possibile mettere in rete quello che in Italia chiamiamo testamento biologico. La filosofia di Google Health è semplice: meno carta e più immediatezza per la consultazione di referti e cartelle cliniche, analisi e ricette, prescrizioni e diagnosi. Sul sito è possibile creare un profilo dove caricare, dopo averli scannerizzati, documenti medici. Oltre ad avere tutti i referti sanitari in ordine e immediatamente disponibili e consultabili (sopratutto in caso di emergenza), si possono condividere con altre persone, come familiari o medici. Solo l'utente può modificare e caricare dati. Chi si occupa della nostra salute, e i nostri parenti, potrà accedere e consultare la cartella clinica online, ma non modificarla. Si crea così una sorta di "social network della salute" dell'utente: sarà lui a decidere quali referti mettere online e scegliere gli "amici" che potranno visualizzare il suo profilo sanitario. Il documento più importante, come spiega il blog ufficiale di Google, che si può archiviare online e condividere, è l'advance directive, una sorta di testamento biologico, che consente di pianificare e comunicare le volontà di fine vita nel caso si dovesse essere incapaci di comunicare. Si tratta di un documento ufficiale - e con valore legale negli Usa - che limita la discrezionalità del medico.
La Repubblica 21-07-2009
Lorenzo