Jürgen Habermas è uno dei nomi più ricorrenti negli articoli e nei saggi filosofici degli ultimi trentanni del secolo scorso ed anche dopo il 2000.Lo cito molto qanche in questo blog.
Se la sua produzione è immensa, la letteratura su di lui è di mole difficilmente quantificabile. Bene o male, come bersaglio polemico o come punto di riferimento, Habermas è dunque un filosofo importante, conosciuto ed apprezzato anche negli Stati Uniti, dove generalmente prevale il sospetto nei confronti di ciò puzza vagamente di marxismo (specie quello critico). Minor fortuna ha avuto solo in Francia, dove il dibattito filosofico e culturale segue spesso logiche molto particolari.
Questa notorietà di Habermas dipende dalla sua originalità. Erede della teoria critica della scuola di Francoforte, in un certo senso ne è il continuatore, mentre, per altro verso, ne risulta anche il critico più lucido e feroce, sia quando assimila, per esempio, il pensiero di Adorno alla corrente irrazionalistica del postmoderno, sia quando denuncia il desiderio di Marcuse di una scienza alternativa a quella reale come cattiva utopia.
Alla luce di quanto si è visto finora, si può condividere la breve ricostruzione che offre Franca D'agostini in Analitici e continentali: ci sono state, nel secolo scorso, tre diverse fasi del lavoro di Habermas. La prima si svolse negli anni '60, durante i quali egli prese su di sé l'onere di continuare la teoria critica della Scuola di Francoforte proprio nel momento della sua massima crisi e dell'involuzione del pensiero di Max Horkheimer.
In questo periodo egli fu per qualche tempo "marxista", ma è notevole scoprire che produsse una serie di contributi ad un esame storico della razionalità anche nella sua giovanile stagione pre-marxista.
La seconda fase caratterizzò l'impegno di Habermas negli anni '70, e si svolse lungo una linea, da lui stesso definita come teoria dell'agire comunicativo. In tale periodo Habermas si confrontò criticamente in particolare con la corrente ermeneutica, ricevendo tuttavia numerosi spunti sia da Noam Chomsky che da Searle.
La terza fase (anni '80) portò Habermas a contrastare apertamente il postmodernismo, schierandosi per una difesa della razionalità, anche se in termini critici, una razionalità universale contrapposta alla presunta razionalità del dominio, identificata tout-court con la "ragione" filosofica e scientifica. Riprendeva così il filo del ragionamento dei suoi anni pre-marxisti.
In generale, salvo l'importante Conoscenza ed interesse del 1968, Habermas non aveva mai affrontato sistematicamente questioni teoretiche fondamentali, limitandosi ad insistere sui temi etici e politici che mantenevano al centro la problematica della liberazione in una visione democratica. Con gli scritti raccolti in Verità e giustificazione (Laterza 1999) il lungo lavoro di esplorazione pare tornare al punto di partenza.
Ecco allora un Habermas IV.
Lo coglie ancora Franca D'agostini in una recensione apparsa sul Manifesto. «Verità e giustificazione è un libro importante, per diverse ragioni. Anzitutto perché contiene una messa a punto sulla situazione attuale in filosofia che è di grande aiuto per predisporre un piano comune di discorso. Secondariamente perché Habermas con onestà e pazienza si misura, in questi saggi, con problemi classici ma entro certi termini inaggirabili, condivisi dalla filosofia contemporanea, ma anche dal pensiero comune, e da quello scientifico; per esempio: come definire i rapporti tra norme e natura? come fare i conti con la presunta impossibilità di una "presa diretta", non mediata linguisticamente, sulla realtà? quale può essere il nesso tra rappresentazione e comunicazione (problema in cui secondo Habermas oggi si gioca la vecchia carta del rapporto tra teoria e prassi)? quale può essere il ruolo della filosofia nel mondo contemporaneo?»
Non si era ancora spenta l'eco di questo ritorno che apparve nel 2002 Il futuro della natura umana, edito da Einaudi. La bioetica diviene così l'ultimo terreno di confronto di questo grande maestro di razionalità. Ancora D'Agostini, puntualmente, sulle colonne del Manifesto, intervenne con una recensione: «L'idea di fondo dell'autore è che la casualità della nascita deve essere in linea di principio preservata, deve cioè rimanere come lui dice "indisponibile". La modificazione genetica è legittima con scopi terepautici, è cioè accettabile la cosiddetta genetica negativa, che toglie e scongiura le malattie ereditarie, non la genetica migliorativa e pianificante, o lo "shopping in the genetic supermarket.»
Simili posizioni non potevano che sfociare in un interessante confronto con l'intellettuale teologo Joseph Ratzinger, quando questo non era ancora diventato Benedetto XVI.
Il loro incontro avvenne il 19 gennaio scorso, sul podio della Katholische Akademie in Bayern, a Monaco di Baviera, sui grandi problemi della scienza e della vita, ma anche della religione e dello stato democratico moderno. I rispettivi discorsi sono stati prontamente tradotti per la Morcelliana, che ha stampato un libro nella collana del "Pellicano Rosso" intitolatoEtica, religione e stato liberale.
Brevissimi cenni biografici
Jürgen Habermas nacque a Gummersbach il 18 giugno 1929. Figlio del direttore della locale Camera di commercio, da adolescente fu costretto a indossare l'odiata camicia bruna ed a marciare nelle file della "Gioventù hitleriana". Si laureò nel 1954 a Bonn con una tesi su Schelling. Lavorò quindi come giornalista, occupandosi prevalentemente delle tendenze sociali e intellettuali del suo tempo. Nel 1956 divenne assistente di Theodor Adorno all'Istituto di Francoforte. Successivamente, nel 1962, ricevette un incarico di professore di filosofia presso l'Università di Heidelberg.
Nel 1964 tornò a Francoforte come professore di sociologia e filosofia e quattro anni dopo pubblicò il saggio Scienza e tecnica come ideologia, mentre il movimento di protesta studentesco raggiungeva il suo culmine. Habermas criticò l'ala estremistica del movimento, accusandola persino di "tendenze fasciste" nel senso di irrazionali, e comunque vide lucidamente che l'illusione di alcuni leader di vivere una situazione pre-rivoluzionaria era del tutto sbagliata.
Nel 1968 pubblicò Conoscenza e interesse. Nel 1970 uscì Logica delle scienze sociali.
Nei quattro anni dal 1971 al 1983 fu direttore, con C.F.von Weizsäcker, del Max Planck-Institut di Starnberg. Dal 1974 fino al 1980 operò studi sull'evoluzione sociale e la psicologia dello sviluppo, che lo condussero alla pubblicazione dei due volumi Teoria sull'agire comunicativo nel 1981. Dal 1982 tornò ad insegnare nuovamente filosofia a Francoforte. l'anno successivo pubblicò L'etica del discorso, altra opera considerata fondamentale perché contenente la proposta di un principio universale di pragmatizzazione che trasformava l'imperativo categorico di Kant da norma individuale in una possibilità di intesa intersoggettiva.
Nel 1985 pubblicò Il discorso filosofico della modernità; un anno più tardi intraprese un progetto di ricerca sulla filosofia del diritto e la teoria della democrazia. Nel 1988 uscì Il pensiero postmetafisico. È dal 1994 professore emerito a Francoforte e alla Northwester University di Chicago.
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