sabato 15 agosto 2009

Due parole sull'Islam


Non voglio perdere tempo a smontare un pregiudizio radicato, ovvero che il terrorismo islamico sia figlio legittimo di una cultura, quella islamica, che a sua volta esprime una visione integralista e dogmatica. Nemmeno voglio mettermi a discutere la tesi che afferma una sostanziale aggressività della mentalità religiosa islamica nei confronti di tutto ciò che è diverso, quindi dell'Occidente "cristiano" o "ateo" che sia.
Ciò che conta è che la nostra percezione dell'Islam, negli ultimi tempi, si presenta così e gli stessi islamici non fanno molto per rappresentarsi diversamente.
Dico solo che tale percezione non è completa, perché manca delle necessarie informazioni sulle forze laiche e democratiche e sull'altro Islam, quello che rifiuta la logica del Wali Faqih, cioè della guida suprema, tipico della teocrazia scita che domina a Teheran, e parimenti si oppone alle teologie più reazionarie presenti tra i sunniti, quelle che reclamano la restaurazione del califfato. Dobbiamo solo capire che queste forze d'opposizione all'integralismo formulano un giudizio negativo sulle società islamiche attuali, che è sostanzialmente identico alle critiche che i più ragionevoli tra gli occidentali rivolgono a queste società.
Eppure, se le stesse cose le diciamo noi, scatta sempre "qualcosa" di indefinibile in termini razionali. Saremmo viziati di orientalismo, cioè di una interpretazione deformante della realtà storica islamica, e il nostro giudizio sarebbe persino "offensivo". Siamo sempre rimproverati di non sapere abbastanza, di non comprendere che le nostre categorie di pensiero ed i nostri criteri di giudizio non si possono applicare al diverso e all'incommensurabile. Come se non fosse vero che gli uomini e le donne di tutto il mondo hanno in comune bisogni ed aspirazioni fondamentali e proprio in questo dovremmo cercare l'uguaglianza.
Ci troviamo inoltre a fronteggiare un avversario interno alla nostra cultura. Lo possiamo chiamare l'antimperialista totale, senza se e senza ma. Per costui il nemico è in ogni caso il grande Satana, cioè gli Stati Uniti, sempre e in ogni circostanza. Questo tipo di interpretazione pone in secondo piano, spesso fino alla disonestà intellettuale vera e propria, il carattere reazionario dell'integralismo islamico e rifiuta di prendere atto, per esempio, che le società dominate dagli integralisti sono disumane e i loro capi mirano a fermare il progresso e l'emancipazione, il diritto all'autodeterminazione degli individui. Non diversamente dagli stessi integralisti, questi nostri fondamentalisti della rivoluzione mondiale, considerano gli agenti terroristici nient'altro che carne da cannone da utilizzare senza scrupoli per la battaglia contro il grande Satana. Si tratta di una posizione aberrante che non possiamo accettare.
La mia tesi è abbastanza semplice: nel mondo islamico è in atto uno scontro gigantesco tra le forze della reazione - bene organizzate e con le idee molto chiare, anche se irrimediabilmente sbagliate - e le forze del progresso - mal rappresentate, divise, spesso con idee molto confuse, sostanzialmente deboli e incapaci di darsi una riconoscibile identità politica e intellettuale. La linea politica giusta, per l'insieme dell'Occidente, è dialogare con queste forze, e aiutarle a vincere nei tempi storici necessari. Tempi lunghissimi. Ciò esclude che siamo di fronte ad uno scontro di civiltà e di religioni. Siamo solo di fronte ad un momento di grandi e rapide trasformazioni delle società islamiche che dobbiamo comprendere e cercare di incanalare nella giusta direzione. E, certamente, siamo anche di fronte alla minaccia terroristica tout court. Su come affrontarla, i pareri sono discordi e la questione non si può risolvere in poche battute.
Perché prevale il fondamentalismo?
Naturalmente, la prima domanda che viene spontanea è la seguente: perché, nonostante la presenza di voci alternative, prevale il fondamentalismo?
Possiamo abbozzare una serie di risposte. La prima è che le politiche economiche e di sviluppo perseguite dai capi "modernisti" e nazionalisti, da Nasser in Egitto a Saddam in Iraq, a Hassad in Siria sono sostanzialmente fallite. Sotto un profilo marxista, potremmo dire che le borghesie nazionali non sono riuscite a decollare. I grandi profitti del petrolio sono stati utilizzati in modo distorto, o per arrichire le cricche del potere, o per perseguire una dissennata politica di armamenti, ma non hanno promosso uno sviluppo reale. Del resto, i fondamentalisti trovano facile denunciare questi regimi come corrotti: pura verità.
Una seconda ragione è ancora più evidente: questi stessi capi "modernisti" hanno perseguito i loro obiettivi con metodi di governo dittatoriali e cinici, eliminando con precisione stalininiana tutte le opposizioni. Il caso più evidente è il regime sanguinario di Saddam. Non hanno seguito una via alternativa al fondamentalismo. In un certo senso lo hanno favorito. Nasser riuscì a fare di al-Qutb un "martire" impiccandolo.
Una terza ragione è di tipo "psicologico", ma non per questo pare meno incisiva. L'Islam è stato ingiuriato, deriso, umiliato ripetutamente, in particolare dalla politica israeliana sostenuta dagli Stati Uniti. Ma non solo, anche da forze progressiste ateisticheggianti e liberaleggianti presenti nell'Islam stesso.
Una quarta ragione si può trovare, infine, nel fatto che i regimi impropriamente definiti come moderati (solo perché amici degli americani, in realtà reazionari e forcaioli quanto gli altri) non sono riusciti a far meglio. Anch'essi presentano un bilancio fallimentare. Inoltre sono colpevoli per aver collaborato con l'Occidente, tradendo il loro popolo, la loro religione, la loro identità, contribuendo in maniera decisiva a introdurre nell'Islam stili di vita corrotti e degeneri come nella Persia dello scià Reza Pahlevi o nel Libano.
C'è poi una quinta ragione, ed è forse la più inquietante: i fondamentalisti sono stati appoggiati, finanziati, armati dallo stesso Occidente in chiave antisovietica ed anticomunista negli anni della guerra fredda e, soprattutto a partire dall'occupazione sovietica dell'Afghanistan.
Il fondamentalismo islamico del Novecento si è sempre caratterizzato come avversario irriducibile del marxismo e del comunismo quali negatori dell'etica musulmana.
L'appoggio ha avuto un canale ufficiale, per così dire, alla luce del sole, ma si è avvalso soprattutto di canali sotterranei e legami con la criminalità mafiosa, la produzione e il commercio della droga, le intermediazioni delle cupole di ogni tipo, dalla mafia siciliana a quella cecena, da quella russa a quella turca, siriana e libanese. In tale grande gioco ha avuto un ruolo di rilievo la loggia P2 di Licio Gelli e sono numerosi i politici italiani della prima repubblica che si sono arricchiti con il traffico d'armi con alcuni paesi mediorientali e gli eserciti privati dei fondamentalisti. I grandi centri della coltivazione dell'oppio per la produzione di eroina furono la valle della Bekaa e l'Afghanistan. La prima era sotto il controllo diretto del fratello del dittatore siriano Hassad, il secondo sotto quello dei mujahaddin e poi dei talebani.

Il primo atto dei fondamentalisti ingrassati dai dollari americani e dal denaro sporco del narcotraffico è stato quello di attaccare dall'interno i regimi cosiddetti moderati, colpevoli della de-islamizzazione. Poi, a sconvolgere tutte le carte, intervenne la rivoluzione iraniana del 1979. Il più importante alleato degli Stati Uniti nell'area mediorientale veniva spazzato via da un fronte molto esteso che andava dai social-comunisti del Tudeh, ai progressisti eredi di al-Shari'ati e ai pasdaran della rivoluzione khomeinista. Fu un'alleanza fragile e durò poco, ma servì a sollevare grandi speranze del tutto infondate. Khomeini fu abilissimo nel tradirle sistematicamente, liquidando in primo luogo tutte le componenti laiche, socialiste e moderate della coalizione rivoluzionaria. Poi passò all'attacco dell'Occidente istituendo corpi speciali di infiltrati, cellule terroristiche pronte ad agire. In questo piano trovò un alleato nel leader libico Gheddafi e in gruppi sciti libanesi, costituiti in particolare da affaristi e finanzieri collegati a logge massoniche europee e associazioni segrete eversive di tipo nazifascista, dichiaratamente antisemite. L'Occidente non trovò di meglio che scagliare contrò la rivoluzione iraniana il regime di Saddam Hussein, giocando furbescamente sulla megalomania del rais. Fu una tragedia, una guerra lunghissima ed estenuante, combattuta senza esclusione di colpi. Saddam ricorse all'uso del gas nervino. I soldati iraniani furono spediti all'assalto per ondate. Una marea umana che sprofondava nel fango e nella sabbia, e poi finiva soffocata dai gas. I capi delle potenze occidentali e della stessa Unione Sovietica sono politicamente e moralmente responsabili al pari di Saddam e di Khomeini. Senza il loro sostegno, la guerra sarebbe finita per mancanza di munizioni. Qualcuno, su questa sporca guerra ha costruito la propria fortuna.
Ma esperienze come queste lasciano un segno indelebile. Gli islamici sanno, non dimenticano. L'odio inestinguibile che nutrono nei confronti degli americani, degli occidentali, degli europei, di tutto ciò che viene da Washington, il grande Satana, è strettamente legato a questa tragedia. La quale fu la vera, grande umiliazione del mondo islamico nel secolo trascorso.

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