A pochi anni dall'uscita de La vita contro la morte di Norman O. Brown, libro che produsse non pochi effetti sulla cultura e la controcultura giovanile degli anni '50 soprattuto negli Stati Uniti, ecco apparire Eros e civiltà di Herbert Marcuse, testo che quasi eclissò il precedente.
Le tematiche e gli approcci al pensiero freudiano dei due autori erano piuttosto simili. Marcuse, tuttavia, leggeva l'opera di Freud in una chiave meno individualistica, in termini che ben poco avevano a che fare con la terapia delle personalità disturbate e nevrotiche, il punto debole della catena repressiva.
Pur avendo preso atto dell'involuzione conservatrice della pratica psicoanalitica, ormai, specie negli Stati Uniti, niente più che una cura per riconciliare il soggetto nevrotico con la realtà sociale, Marcuse studiò attentamente Freud, trovando che, accanto alla pur desolante constatazione che l'iniziatore della psicoanalisi non era mai andato oltre l'auspicato ritorno alla normalità ed il reinserimento nel mondo borghese, nella psicoanalisi stessa erano insite potenzialità ben più grandi e radicali.
In tale contesto la scena era movimentata soprattutto da Erich Fromm, collaboratore dell'Istituto di Francoforte e in chiara rottura con l'ortodossia freudiana.
Ma la proposta di riunire marxismo e psicoanalisi in una sorta di freudomarxismo avanzata da Fromm non piacque a Marcuse, perché entrambi muovevano da una lettura antitetica di Marx. Attratto più dalla macchina schiacciasassi della contrapposizione radicale di Wilhelm Reich - la totale incompatibilità tra lavoro e piacere - che dalla proposta neofreudiana di Fromm - la possibilità di distinguo tra produttivo ed improduttivo, costruttivo e distruttivo, libero e alienato - Marcuse accusò Fromm di aver tratto i suoi principi teorici dal bagaglio dell'ideologia dominante.
Per questo, si è convinti che l'approccio marcusiano a Freud sia molto più radicale e spiazzante di quello pur revisionistico di Fromm.
Marcuse, di fatto, rovesciò Freud, affermando il contrario di quanto lo stesso Freud aveva teorizzato in un momento più filosofico che psicoterapeutico: signori, è possibile una società non repressiva.
La psicoanalisi deve mutare pelle. Non deve limitarsi ad una funzione terapeutica, ma diventare una teoria generale in grado di integrare ed arrichire il marxismo critico.
Marcuse era, ovviamente, d'accordo con Freud nello scorgere nella repressione il prezzo da pagare alla civilizzazione.
Ma, a differenza di Freud, che su questo era stato piuttosto lapidario, affermava che non è la civiltà in quanto civilità a risultare repressiva, a richiedere una costante repressione dell'istintuale, ma quel tipo particolare di civiltà impostasi in Europa ed in America: la civiltà autoritaria e borghese.
In sostanza, diceva Marcuse, questa società non si è limitata a richiedere il minimo della repressione istintuale richiesto dalla convivenza civile, ma ha preteso un surplus repressivo per motivi che hanno nulla a che vedere con la natura dell'uomo e la convivenza civile stessa, ma sono tutti riportabili al sistema sociale, politico ed economico, oltre che a convinzioni ideologiche.
La repressione è l'unico modo di garantire l'efficienza, quel principio di prestazione che è alla base dell'efficientismo capitalistico.
La genitalizzazione monogamica, la famiglia, sono istanze funzionali alla produzione ed alla riproduzione, abiti etici imposti dal regime alla gente.
Per certi aspetti, questi sono temi già presenti nel marxismo di Marx, e di suo genero Paul Laforgue soprattutto (noto teorico dell'ozio), ma attraverso Marcuse acquistano una nuova attualità in forza del rapporto con la psicoanalisi, la quale ha portato alla luce il non detto di centinaia di anni.
In questa chiave, afferma Marcuse:« ... il fine della vita, anzichè essere quello di godere e far godere il nostro stare al mondo, a titolo di liberi soggetti-oggetti libidici, è storicamente divenuto il lavoro e la fatica, che gli individui hanno finito per accettare come qualcosa di "naturale",o come la "giusta" punizione per qualche colpa commessa, "introiettando" in tal modo la repressione, secondo il principio della cosiddetta "autorepressione dell'individuo represso".» (1)
Tuttavia - secondo Marcuse - la civiltà della prestazione non è riuscita a far tacere completamente l'impulso primordiale verso il piacere, la cui memoria è conservata nell'inconscio e nelle sue fantasie: «La fantasia ha una funzione d'importanza decisiva nella struttura psichica totale: essa collega gli strati più profondi dell'inconscio con i prodotti più alti della coscienza (arte), il sogno con la realtà; conserva gli archetipi della specie, le idee eterne ma represse della memoria collettiva e individuale, le immagini represse e ostracizzate della libertà.» (1)
Secondo Marcuse, nella storia della cultura occidentale sono apparse figure consapevoli di questa degenerazione dell'uomo in una macchina da produzione. In particolare Nietzsche e Schiller.
Ma ancor prima di loro, nei miti più antichi che precedettero la nascita della filosofia, si possono trovare figure di questa peripezia in Orfeo e Narciso.
Se il canto di Orfeo sarebbe stato in grado di istituire un ordine senza repressione (il riferimento al nascente rock'n'roll è sicuramente voluto), il Narciso contemplante il proprio corpo diventa, agli occhi di Marcuse "una vita di bellezza". Orfeo e Narciso espressero così il lamento della natura umana repressa contro la logica del lavoro forzato.
Se tutta questa analisi, in qualche modo, potrebbe accordarsi e conciliarsi con una prospettiva marxista e politica, perché in fondo non travalica l'innocenza di alcune istanze presenti sempre e comunque in ogni nuova generazione, il problema è però dato dall'uso immediato, e politico, di questi dati: come tradurli in rivendicazioni sociali? In diritti? In una strategia per il diritto a godere della vita?
Il tutto, al di là del fatto che nella pratica quotidiana, secondo Marcuse, è già operante un maggior uso della sensibilità, una tendenza a vivere la vita come un gioco, una spinta affinché le forze dell'amore (Eros) si impongano a su Thanatos, le forze negative e gli istinti di morte, esiste nel sistema stesso la possibilità di una potente ed inaudita possibilità della riduzione dei tempi di lavoro, liberando tempo disponibile per una vita più gradevole.
In tale contesto, è evidente che l'atmosfera ottimistica di Eros e civiltà è nettamente in contrasto con le visioni pessimistiche di Horkheimer ed Adorno, per i quali la perdita di autenticità non è certamente riducibile a tempo, denaro, repressione della libido, ma a questioni più profonde e radicali.
Dopo Eros e civiltà, anche Marcuse avrà un ripensamento e, soprattutto nel suo capolavoro, L'uomo ad una dimensione, arriverà a denunciare come falsa la liberazione sessuale, contrapponendovi una liberazione dell'amore ancora tutta da venire e persino da capire.
note
(1) Herbert Marcuse - Eros e civiltà - "); //-->
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1 commento:
suerte..
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