Parlare di destra e sinistra nel 1994 aveva ovviamente ancora un senso, anzi ne aveva più d'uno. Ma, alla luce di quanto era accaduto alla fine degli anni '80 ed al principio del decennio successivo, era necessaria una messa a fuoco.
Era crollato il sistema comunista.
Era anche crollato il sistema politico italiano nato dalla Resistenza e dominato dalla centralità democristiana. Travolto dagli scandali , dai processi, dall'indignazione che univa destra e sinistra in un unico applauso alla procura di Milano.
Scompariva il centro, restavano sinistra ed estrema destra.
La situazione è ben descritta da Carmine Donzelli nell'introduzione al libro di Norberto Bobbio
" Destra e Sinistra".
« La cultura politica democratica del nostro paese, quella che a partire dalla caduta del fascismo si era impossessata del campo e aveva costruito una indiscussa posizione di primazia, scopriva improvvisamente in quegli anni, e non senza traumi, il possibile nuovo materializzarsi della destra: un'idea, una presenza, un'opzione politica che era stata potentemente rimossa. In tutti i primi decenni della Repubblica, il campo politico aveva assunto in Italia una strana configurazione, una sorta di geometria sghemba, che alla sinistra aveva contrapposto il centro, non la destra.»
Verissimo. La destra rientrava realmente in gioco, occupando parte del grande vuoto lasciato dalla Democrazia Cristiana, la quale, per certi aspetti, era stata più a sinistra del suo elettorato.
Ma anche la sinistra usciva dai sussulti praticamente irriconoscibile.
Dopo la caduta del muro di Berlino e la fine ingloriosa (ma fortunatamenente incruenta) del comunismo, persino un partito comunista come quello italiano aveva sentito il bisogno di ridefinirsi e di smarcarsi dalla vergogna storica del comunismo reale. Non bastava dire "non siamo mai stati come loro e ci siamo guadagnati il diritto di esistere con il nostro impegno democratico". Qualcuno sentì il bisogno di dire: "assumiamo anche un altro nome, perché siamo diventati un'altra cosa anche rispetto a noi stessi".
Ma Tangentopoli impediva di assumere il nome della tradizione più conseguente all'"altra cosa": il termine socialista, in Italia, era sinonimo di ladro e corrotto, di pappone e di cialtrone.
Nacque così l'eufemismo di democratico di sinistra. Mentre secondo me, unirsi politicamente al socialismo europeo sarebbe stata una mossa politica più intelligente.
Perché tante definizioni erano già state riempite, occupate e "svuotate", da quella di radicale a quella di socialdemocratico. Mentre l'etichetta di liberal-socialista avrebbe finito col risultare falsa ed ipocrita. Mai stati liberali i comunisti italiani, ovvero antistatalisti, nemmeno ai tempi dei flirt tra Gramsci e Gobetti.
Ma la vera novità era la ricomparsa e la riabilitazione della destra.
Occoreva chiarire in termini filosofici e politici che significava il termine destra, in cosa si differenziava dal centro, e perché, nonostante la caduta del muro di Berlino e la catastrofe del comunismo, la sinistra era certamente in crisi, ma veniva ugualmente a proporsi, quanto mai prima d'allora, come forza di governo credibile e rispettabile in tutto l'occidente. La cosa era chiara persino tra gli analisti della CIA, che lo avevano scritto nei loro rapporti.
Uguaglianza contro disuguaglianza
Il libro di Bobbio ebbe il merito di dare delucidazioni essenziali.
Parole chiave erano: uguaglianza contro disuguaglianza.
La sinistra era sempre stata per l'uguaglianza di tutti gli uomini, non solo di fronte alla legge, ma anche di fronte al tema fondamentale della distribuzione della ricchezza prodotta dal lavoro umano.
In certi casi, la sinistra più estrema aveva anche contestato la disuguaglianza naturale e biologica, asserendo che essa poteva essere superata, non trattandosi di vere differenze naturali, ma solo di differenze culturali.
In generale, la sinistra aveva spesso posto l'accento sull'obiettivo finale di dare a ciascuno secondo i suoi bisogni (Marx), e non, solo, secondo i suoi meriti (indubbiamente diversi sia si riconosca il principio della diversità biologica, sia si tenda a ridimensionarlo).
Questo il tema centrale del VI capitolo, che era un po' il cuore del libro. «Il concetto di uguaglianza è relativo - scriveva Bobbio - non assoluto. E' relativo almeno a tre variabili di cui bisogna sempre tenere conto ogni qualvolta s'introduce il discorso sulla maggiore o minore desiderabilità, e/o sulla maggiore o minore attuabilità dell'idea di uguaglianza: a) i soggetti tra i quali si tratta di ripartire i beni o gli oneri; b) i beni o gli oneri da ripartire; c) il criterio in base al quale ripartirli.
In altre parole, nessun progetto di ripartizione può evitare di rispondere a queste tre domande: "Eguaglianza, sì, ma tra chi, in che cosa, in base a quale criterio?"
Combinando queste tre variabili, si possono ottenere, com'è facile immaginare, un numero enorme di tipi di ripartizione che possono tutte chiamarsi egualitarie, pur essendo diversissime tra loro.
I soggetti possono essere tutti, molti o pochi, anche uno solo; i beni da distribuire possono essere diritti, vantaggi o facilitazioni economiche, posizioni di potere; i criteri possono essere il bisogno, il merito, la capacità, il rango, lo sforzo, e altri ancora, e al limite la mancanza di qualsiasi criterio, che caratterizza il principio massimamente egualitario, che propongo di chiamare "egualitarista": "A tutti la stessa cosa".»
Ma, asserire che la sinistra è ugualitaria "non vuol dire che sia anche egualitarista", diceva Bobbio.
Invece lo era stata, in una certa misura, e così era stata "percepita".
Ad esempio, Bobbio trascurava l'elemento sindacale, il fatto che nei contratti di lavoro non solo si era introdotto un minimo di paga sindacale uguale per tutti, cosa più che sacrosanta, ma si era spesso imposto un tetto oltre il quale era impossibile andare, un vero e proprio disincentivo, realizzando così una sostanziale protezione del mediocre e del pigro (cioè di chi va a lavorare solo per la paga) a danno del meritevole, non necessariamente un collaborazionista del padrone, anzi, molto spesso semplicemente un individuo preoccupato di far bene il proprio lavoro, e quindi di realizzarsi, sia pure parzialmente con la professione.
Magra consolazione per noi che guardiamo dall'alto le cose terrene, dicono i sindacalisti con la puzza sotto il naso, ma la gente va capita.
Sicché la sinistra "percepita" e sindacale, forse più reale di quella reale, specie tra quei gruppi di lavoratori che avevano finito col scegliere sindacati e partiti di destra, o si erano orientati verso il leghismo, perché stanchi dell'appiattimento, aveva finito con l'imporre la propria immagine egualitarista su una sinistra politica reale che proprio allora cominciava ad interrogarsi.
Se c'è un momento da ricordare, e varrebbe la pena ricordarlo, perché esemplare di una destra non-destra, ovvero non ideologica, ma semplice frutto di una reazione all'egualitarismo ideologico, è certamente quello della marcia dei quarantamila quadri FIAT che gridavano per le vie di Torino: "Basta con sto casino, vogliamo lavorare!"
Trascurando questi elementi concreti, il libro di Bobbio finiva coll'apparire un ottimo lavoro teorico, ignaro, tuttavia, delle situazioni pratiche che avevano portato la classe operaia ed il partito comunista a dialogare con i ceti medi e, paradossalmente, a "litigare" con, operai, quadri e impiegati, cioè gente più che interessata ad un discorso ed ad un'opzione di sinistra in grado di premiare l'impegno sia sul piano morale ed intellettuale che su quello materiale.
Questo era il vero limite dell'opera di Bobbio. Uno studio che non scavava a sufficienza nel sottosuolo, nel mondo della vita, che non arrivava a porsi il problema del perché era nato, il più delle volte spontaneamente, un consenso alle idee della destra ed un abbandono delle idee della moderazione, sia di centro, sia di sinistra.
Nel paese spirava un vento reazionario ben prima che le idee della destra cominciassero a trovare forma e spazio visibile. Era stato abile Umberto Bossi e la Lega ad intercettarle in parte. Anche i neofascisti furono abbastanza pronti a smarcarsi dal loro passato, ma il vero capolavoro (per chi vede le cose in modo razionale e non emotivo) fu la costituzione di Forza Italia, un partito costruito in "poche ore", capace di inviare un fortissimo segnale di cambiamento ( ma anche di continuità con il centro-destra precedente) in più direzioni.
Ma chiedere questo tipo di analisi a Bobbio era eccessivo. Sapendo egli, con molta chiarezza, indicare e denotare i caratteri costitutivi del pensiero della destra, di quello che avrebbe dovuto essere, e forse non era ancora, assolveva ad una serie di compiti analitici precisi e circoscritti: a)quello di contestare una "distinzione contestata", appunto la differenza tra destra e sinistra, b) quello di evidenziare la presenza di più di una destra e più di una sinistra in ragione di categorie importanti, se non decisive, quali quella di estremismo e moderazione, c) quello di mostrare che all'interno delle diverse grandi correnti del pensiero politico (liberalismo, socialismo e movimento cattolico), erano possibili posizioni sia di destra che di sinistra, anche se, ovviamente in senso relativo, lavorando molto sulla coppia estremismo-moderazione.
1 commento:
Lorenzo,
spesso mi sono posta questa domanda, come hai fatto Tu. Forse andava bene qualcosa come Nuova Sinistra o Sinistra Innovativa. Certo quel DS ed ora PD mi suona falso, non sono mai riuscita a riconoscermici, mi ci è voluto un bel pò per capire a quale uomo politico dare la mia fiducia e non ho ancora quella sicurezza che avevo quando c'era il vecchio PCI :((
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