Gilles Deleuze ci ha (mi ha) indubbiamente complicato la vita, filosofica e non solo, per qualche tempo. Mi ha anche fatto sbadigliare, ma questo accade anche quando rileggo i miei scritti e quindi non ha rilevanza. In larga parte mi ha anche deluso, ma siccome in certi momenti mi ha anche sorpreso, parlerò solo di questo, considerando che rimanere sorpresi non implica altra forma di condivisione che il riconoscimento del problema sollevato. «Un po' di possibile, sennò soffoco.» Con questo richiamo kierkegaardiano, dopo aver negato che il 'possibile' esiste, e dopo aver affermato che esiste, ma non arriva mai, ecco che lo reclama con una battuta che finalmente lo rende umano. OK, ci siamo passati tutti. Anch'io, pessimista di natura spessa e radicata, aspetto ancora un possibile che non arriva mai. Ma questa faccenda riguarda me, non l'evoluzione della specie o lo sviluppo sociale, territori in cui il 'possibile' è sempre già in parte realizzato per un verso o negato per l'altro. Deleuze, al contrario, ragiona sul 'possibile' sotto un profilo politico, senza cedere, si badi, ad una qualsiasi tentazione volontaristica. Anzi, nell'èpuisé, sembrava affermare che l'esaurimento del 'possibile' era una cosa molto buona, invitando persino a smetterla di pensare che sotto al secondo strato di realtà esistessero riserve di 'possibile'. Penserete che il 'possibile' non è come il petrolio, il quale finirà tra alcuni decenni e comunque costerà sempre un po' di più. No, non ci avete preso. Il 'possibile', per Deleuze era già finito! Questo, senza specificare che cosa avrebbe dovuto essere 'possibile', l'utopia di chi, la speranza di chi altri, quale forma sociale nutrisse dall'interno il sogno. Deleuze confusionario ed ingenuo non meno di noi (quelli di noi che ci hanno creduto un po' di più). Ora, è questo che fa incazzare nei filosofi 'continui' e chiacchierosi. Diamogli un nome a questo 'possibile' ma un nome che capiscano tutti: era Paradiso Terrestre? Sì, funziona, così ci capiamo. Beh... non c'è, non esiste, non c'è mai stato un paradiso terrestre se non nella testa di quel satanasso che riscrisse una parte di Genesi sovrapponendosi ad uno scritto anteriore. Non c'è mai stato e non è possibile in quella forma peraltro contraddittoria, che solo menti confusionarie potevano ammettere, di corpi spirituali ed immortali immersi in un mondo naturale percorso da unità di carbonio. Ci fu un profeta che immaginò di fare del lupo un vegetariano, ma questa era una metafora sull'uomo, anche quello caratterialmente più simile al lupo. Hobbes, che era un agnello, pensò bene di mettere fine alla faccenda inventandosi uno 'stato' nel quale si vende la libertà in cambio di sicurezza, e diede un bel colpetto all''utopia, dicendo che nient'altro è 'possibile'. Abbiamo sognato ,alla faccia di Hobbes, una società più giusta, meno disguaglianze, pace. Era 'questo' il 'possibile', e lo è ancora. Ma nell'ottica minoritaria del gauchisme di Deleuze, né leninista, nè spontaneista, ma, come dire, e come vedremo, un po' bordighista ed un po' taoista, 'possibile' era un evento in grado di liberare altri eventi in una catena di eventi, rispetto ai quali meno si progettava, meno si rilasciavano intenzioni e meglio era. C'e, per Deleuze, (c'era negli anni '80 ) una sinistra che non credeva più nel 'possibile'. Il che, detto in altre parole significa che non credeva più nell'utopia e nemmeno nella speranza. Del resto bastava guardare la faccia di Breznev per capire che non c'era più speranza, 'quella' speranza. Bisognava che tutto finisse affinché tutto potesse ricominciare, magari da un'altra parte. Ma in questo, per Deleuze, stava il buono. Dove stava il 'buono' e dove stava Deleuze? Lo spiega bene Françoise Zourabichvili in un saggio su Aut Aut: «Sulla scia di Bergson... [...] il possibile non lo avete in anticipo, non lo avete prima di averlo creato. Il possibile consiste nel creare del possibile. Si passa qui a un altro regime di possibilità, che non ha più nulla a che vedere con l'attuale disponibilità di un progetto a realizzarsi o con l'accezione volgare del termine "utopia"... [...] Il possibile accade attraverso l'evento e non viceversa; l'evento politico per eccellenza - la rivoluzione - non è la realizzazione di un possibile, ma un'apertura di possibilità ...» ( Françoise Zourabichvili - Deleuze e il possibile (sul non volontarismo in politica) - in Aut Aut 276, novembre-dicembre 1996) La non via indicata da Deleuze è la via di Lao Tsu, un lasciare che le cose accadano, senza più pretendere di sottomettere il reale con progetti cartesiani di ingegneria sociale. La volontà non precede più l'evento e non deve precederlo. E' il nulla di volontà e questo è un fatto del tutto post-moderno. Se Nietzsche lo aveva diagnosticato e Dostoevskij lo aveva anticipato in alcuni suoi personaggi, ora si tratta di applicarlo. Nel frattempo sulla scena, erano apparsi dei guru che insegnavano che il mondo è nelle nostre mani quando si cessa di desiderarlo. Ma questa è un'altra storia, che poco o punto c'entra con Deleuze. La sua speranza è tutta giocata sulla parola-chiave dell'intollerabilità e in tutto questo io non concordo, ma è materia di discussione molto interessante anche per spiegare la situazione della sinistra di oggi.
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