giovedì 30 luglio 2009

Il Pragmatismo 1^ Parte - Introduzione a Pierce

Pensare significa muoversi continuamente tra dubbio e certezza, non come fece Descartes, mettendo in dubbio anche certezze ovvie, cioè condivise da tutti, come l'esistenza della Luna, della terra e del cielo, di me e di te, di questo tavolo e di questa sedia, ma davanti ad un dubbio giustificato quale l'efficacia di un farmaco o la teoria delle stringhe, ovvero circa credenze non sufficientemente provate e dimostrate, verificate e riverificate. Pensare è necessario per vincere i dubbi ed acquisire credenze stabili o, comunque, relativamente durature. Risponde quindi ad esigenze che sono insieme psicologiche, conoscitive e pratiche. In The Fixation of Belief, articolo pubblicato nel 1878, Peirce mette a fuoco i principi del pragmatismo, evidenziando che tutti, volenti o nolenti, facciamo teoresi quando nutriamo qualche dubbio sul che fare per risolvere un problema, raggiungere qualche obiettivo, realizzare qualcosa, od anche solo capire perché vogliamo qualcosa. Ancor di più quando vogliamo la spiegazione del perché di qualcosa.
Peirce osserva in primo luogo che non basta la validità formale di un inferenza a giustificare la eventuali conclusioni cui perveniamo muovendo da date e sicure premesse. Qualsiasi ragionamento, infatti, è sempre guidato da "un principio guida" che costituisce "un abito mentale, costituzionale o acquisito". La sua validità è formulabile in una proposizione la cui verità dipende delle inferenze che l'abito mentale determina, a prescindere dalla verità o falsità specifica delle conclusioni. Si può quindi dire che dubbio e credenza non stanno, per Peirce, in rapporto con i principi formali della logica. Costituiscono, semmai, le implicazioni psicologiche e pratiche dell'attività del pensiero. Il dubbio non è altro che uno stato di irrequietezza e insoddisfazione che produce incertezza; la credenza è lo stato di quiete, rilassato e soddisfacente che cerchiamo di mantenere perché ci aiuta a scegliere comportamenti adeguati alla bisogna, diventando quindi "abito comportamentale".

Arrivare a possedere credenze è per Peirce l'unico vero scopo del pensiero. In tale situazione il dubbio è negativo, e come suggerisce Peirce, suscita irritazione. Dall'insoddisfazione viene la spinta a lottare ed a cercare, a indagare per riuscire a conseguire credenze fondate. E' interessante notare che l'attenzione di Peirce è rivolta non tanto a chiarire la natura del dubbio, quanto a criticare (in modo molto kantiano) la validità della credenza, ovvero la pretesa della ragione di andare oltre i dati empirici, o quella dell'istinto di rifiutare ragionamenti troppo complessi. Vi sono per Peirce quattro fondamentali tipi di credenza, quello basato sulla tenacia (od ostinazione), quello fondato sul principio dell'autorità, quello dell'a priori e quello della scienza. Uno solo è valido: quello scientifico. L'ostinazione è tipica di chi è attaccato ciecamente alla propria credenza e rifiuta di prendere in considerazione opinioni diverse; dunque si comporta come uno struzzo che nasconde la testa nella sabbia all'approssimarsi di un pericolo. Questo atteggiamento non porta da nessuna parte, ed a meno che non si scelga di isolarsi come eremiti, non procura nemmeno la pace dello spirito, perché si è continuamente sfidati, rimproverati e persino derisi. Il principio dell'autorità è tipico delle credenze stabilite da chiese, religioni o corporazioni di qualunque specie. Peirce non usa il termine "ideologia" perché non era ancora di moda, in particolare non lo era negli Stati Uniti. La credenza fondata sull'autorità, che di fatto è una credenza in una verità rivelata dall'alto, riduce gli uomini a "schiavi intellettuali", e ricorre al terrore, alle inquisizioni ed ai roghi per imporre a tutti la stessa credenza, raggiungendo così la pace sociale e l'ordine. Gli si può riconoscere il merito storico di aver prodotto civiltà, ma il prezzo da pagare è troppo alto per continuare ad accettarlo. Il metodo dell'a priori è quello dei metafisici e prentende di fondarsi sull'autorità della ragione. Kant, però, ha dimostrato che tra gli stessi metafisici esistono profonde divergenze. Ogni opinione contrasta con un altra e nessuna pare più fondata dell'altra. Finiscono quindi con l'annullarsi, dimostrandosi opinioni "private e soggettive" che non hanno nulla di veramente universale da proporre.
Non resta che il metodo scientifico, l'unico che consenta di arrivare a produrre asserzioni valide universalmente. Esso evita ogni forma di soggettivismo egocentrico (alla Descartes) e richiede solo che «le nostre credenze possano essere causate non da fattori umani, ma da qualche uniformità esterna, da qualcosa su cui il nostro pensiero non ha effetto... che agisce, può agire, su ogni uomo.» Può dunque accadere che sulla conclusione di un ragionamento volto a dimostrare e comprovare una verità scientifica si raggiunga un accordo universale. Questo è dunque il metodo "pubblico" per eccellenza, il solo che consenta obiettività. Come chiarisce lo stesso Peirce:« vi sono cose reali i cui caratteri sono completamente indipendenti dalle opinioni che noi ci formiamo intorno a essi; la cui realtà influisce sui nostri sensi secondo leggi regolari; e per quanto le nostre sensazioni siano diverse come diverse sono le nostre relazioni con gli oggetti, utilizzando le leggi della percezione, noi possiamo accertare col ragionamento come le cose realmente sono, ed ogni uomo, se ha esperienza sufficiente e se ragiona abbastanza su di essa, sarà condotto ad un'unica conclusione vera.»


In Come render chiare le nostre idee Peirce affronta la questione tra credenza ed abito comportamentale. Guadagnare la chiarezza logica porta a distinguere le varie credenze al di là della loro funzione comune capace di indurre un abito comportamentale. Ciò che è veramente importante, infatti, sono i differenti "modi d'azione" che ogni credenza produce. «... l'intera funzione del pensiero - scrive Peirce - è produrre abiti d'azione e ogni cosa connessa con il pensiero, ma irrilevante per tale funzione è un'aggiunta ... La nostra idea di qualcosa è l'idea che abbiamo dei suoi effetti sensibili... Così dobbiamo scendere a ciò che è tangibile e, concepibilmente, pratico, per giungere alla radice di ogni reale distinzione di pensiero; e non c'è distinzione di significato così fine da non consistere in una possibile differenza pratica.»
Più sotto, Peirce formula la cosiddetta "massima pragmatica", cioè quella che secondo lui è la regola per rendere chiare le nostre idee. Un esempio di questa regola porta a considerare il concetto di vino che così consiste: «... nella credenza che 1) questo, quello, o quell'altro, è vino; ovvero 2) il vino possiede delle proprietà. Simili credenze non sono altro che avvisi a noi stessi che dobbiamo, all'occasione, agire nei nei confronti di certe cose che crediamo vino in modo che si accordi con le qualità che crediamo che il vino possegga.»
In sostanza, "la notra idea di qualcosa è l'idea dei suoi effetti sensibili". Ne viene che è attraverso il verificarsi o meno degli effetti che la nostra idea promette, si raggiunge la conferma o la smentita della sua validità. Rispetto a ciò è evidente che il pragmatismo americano si differenzia dall'empirismo positivista per il fatto che questo si è sempre accontentato di una verifica concernente il passato. Le verificha portano a certezze. Nel pensiero di Peirce anche questa certezza viene smontata. Sarà l'esperienza futura a dire se questa credenza uscirà confermata. E tale considerazione porta ad uno sviluppo ulteiriore di estremo interesse, cioè all'idea di realtà da un punto di vista pragmatico. L'idea di realtà è quella che provoca l'effetto specifico di proodurre la distinzione tra credenza vera e credenza falsa. Tale distinzione non può che venire dal processo pubblico di discussione, che qui assume apertamente un valore "obiettivistico". «L'opinione finale, sulla quale, fatalmente, tutti coloro che indagano si troveranno in definitiva d'accordo, è ciò che intendiamo per verità, e l'oggetto rappresentato in questa opinione è il reale. In questo modo io spiegherei la realtà.»

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